Il "maanchismo". Un atteggiamento politico colto da Crozza con la sua impareggiabile ironia. Che rappresenterebbe la volontà di dare vita ad un partito universale, buono per tutti e per tutte le stagioni, che non prende mai posizioni forti sugli argomenti. Cerchiobottismo, in sostanza: pensare ai lavoratori ma anche agli imprenditori, ai laici ma anche al Papa, tifare Juve ma anche Roma. Ma che - tifo a parte - può essere anche visto come un modo per cogliere la complessità dei temi, senza necessariamente ridurli e semplificarli a una contrapposizione tra il bianco e il nero.

Un giovane Walter con Prodi e Ciampi (Ansa)
Un giovane Walter con Prodi e Ciampi (Ansa)
Un giovane Walter con Prodi e Ciampi (Ansa)

Se si può discutere sull'accezione del maanchismo - ma prevale di gran lunga quella negativa - non ci sono dubbi su chi sia in Italia il massimo esponente di tale "corrente" politica. Parliamo di Walter Veltroni.

Nato nel 1955, il papà è radiocronista Eiar e poi dirigente Rai, ma muore quando Walter ha appena un anno.

Si avvicina prima al mondo del cinema che a quello politico. Bocciato in quarta ginnasio al liceo Tasso, si diploma all'Istituto di Stato per la cinematografia e la televisione.

La prima vittoria dell'Ulivo e l'esultanza di veltroni e Prodi (Ansa)
La prima vittoria dell'Ulivo e l'esultanza di veltroni e Prodi (Ansa)
La prima vittoria dell'Ulivo e l'esultanza di veltroni e Prodi (Ansa)

I PRIMI PASSI NELLA POLITICA E IL PRIMO GOVERNO PRODI - Nel '76, a 21 anni appena, è già consigliere comunale a Roma, nell'87 entra alla Camera dei Deputati e, subito dopo, nel comitato centrale del PCI, in seno al quale appoggia la svolta della Bolognina di Occhetto e la nascita del Pds.

Nel '92 passa alla direzione de L'Unità, e in tre anni aumenta il numero di copie vendute, portandolo da 117 a 151mila. Poi in politica scende il Cav: dopo il ribaltone di Bossi, Veltroni corre accanto a Prodi alle elezioni del 1996, diventa vice del prof. e ministro ai Beni Culturali con delega allo spettacolo e allo sport. Si impegna per i restauri e le riaperture di importanti monumenti nazionali (Galleria Borghese, ad esempio) e vara il meccanismo per finanziare con i soldi del Lotto il restauro dei beni culturali.

I risultati ottenuti al ministero gli vengono riconosciuti anche all'estero, e la Francia lo insignisce della Legion d'Onore.

Con Francesco Totti (Ansa)
Con Francesco Totti (Ansa)
Con Francesco Totti (Ansa)

IN CAMPIDOGLIO - Caduto Prodi, torna a concentrarsi sul partito di cui diventa segretario. E nel 2001 corre per la carica di sindaco di Roma, vincendo sull'attuale presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.

Non parte bene: juventino da sempre, "ma anche" romanista da quando è sindaco di una città, la Capitale, che vive di calcio. Non piace a molti quello che fa nel 2001 quando - eletto da poco - va al Circo Massimo con la sciarpa giallorossa per festeggiare lo scudetto della Roma di Totti e Batistuta.

Ma la Capitale impara ad amarlo, e lo rielegge con risultati bulgari - contro un Alemanno letteralmente asfaltato - cinque anni dopo.

Alemanno, rivale sconfitto nella corsa al Campidoglio (Ansa)
Alemanno, rivale sconfitto nella corsa al Campidoglio (Ansa)
Alemanno, rivale sconfitto nella corsa al Campidoglio (Ansa)

Da sindaco non credente ("Credo di non credere", dichiara in più di un'occasione) concede la cittadinanza onoraria a Giovanni Paolo II.

I problemi non mancano, ma con lui Roma vive una bella fase, decisamente lontana da quella attuale. Con l'assessore Roberto Morassut approva quel piano regolatore che la Capitale aspettava da più di 40 anni. Realizza il nuovo Auditorium, il primo Piano regolatore sociale di una grande città. È lui a ideare la "Notte Bianca", a farsi promotore di molti concerti gratuiti. Raddoppia i posti negli asili nido, e nella Capitale il turismo fa boom.

Altri tempi. Tempi in cui è Veltroni a salire a Milano per spiegare ai meneghini il "modello Roma".

"Nel complesso a Roma si respirava, in quegli anni, un clima di apertura e di tolleranza, di solidarietà e di accoglienza, che nessuno che sia in buona fede può non ricordare", dirà anni dopo. Da quando se ne va lui, la Capitale cade in un pozzo senza fondo, in un baratro dal quale sembra non riuscire più a risollevarsi.

Nel 2006, prima del secondo voto che lo incoronerà nuovamente sindaco della Capitale, Veltroni paventa da Fazio la possibilità - una volta lasciata la politica - di andare in Africa. Non lo fa, all'Africa preferisce la segreteria del nascente Partito Democratico. E in molti glielo rinfacceranno, da destra e sinistra.

In un discorso al Lingotto di Torino prende forma il suo Pd (Ansa)
In un discorso al Lingotto di Torino prende forma il suo Pd (Ansa)
In un discorso al Lingotto di Torino prende forma il suo Pd (Ansa)

IL PD E L'ILLUSIONE MAGGIORITARIA - Walter lascia la sua Roma per un obiettivo più alto. Sta nascendo il Pd: D'Alema è in difficoltà per il caso Unipol e per le intercettazioni con Consorte, Fassino è ormai entrato nella storia per la frase "Abbiamo una banca". E così Veltroni viene chiamato per correre alla segreteria del nascente partito, la otterrà con primarie "farsa", vista l'assenza di candidati competitivi, in cui otterrà il 75% dei voti.

Sono anche gli anni di Barack Obama, di cui Veltroni si è infatuato da subito: da sindaco di Roma lo va a trovare già nel 2005, quando Barack è un semplice senatore dell'Illinois, prima ancora che diventi l'incarnazione del sogno americano.

D'altronde Walter ha sempre avuto un debole per la sinistra liberal d'Oltreoceano. Se al Lingotto, dove lancia la sua candidatura alla guida del Pd, cita più volte l'"I care" di Kennedy ("Ci tengo"), alle successive elezioni politiche scimmiotta lo "yes we can" obamiano ("Si può fare").

In molti - quando va a guidare il neonato partito - lo chiamano l'Obama bianco, magari prevedendo un successo analogo. E invece no, per Walter è già iniziata la fase calante.

Ottenuta la segreteria del Pd, annuncia subito che correrà da solo alle elezioni. Cosa che mette in fibrillazione i tanti partitini che sostengono il governo Prodi e che accelera la crisi dell'esecutivo del prof. È l'uomo della "vocazione maggioritaria", Veltroni: stanco delle continue liti all'interno del governo Prodi e dei precedenti esecutivi di centrosinistra, aspira ad un partito che possa governare da solo, senza dover cedere ai ricatti dei partitini da "zero virgola". Peccato che quella vocazione si rivelerà poi un'illusione, e che per questo a sinistra sarà accusato di isolazionismo.

Duello televisivo con Silvio Berlusconi (Ansa)
Duello televisivo con Silvio Berlusconi (Ansa)
Duello televisivo con Silvio Berlusconi (Ansa)

NON NOMINA BERLUSCONI MA PERDE - Alle politiche del 2008 accetta l'apparentamento con la sola lista Di Pietro. La sua campagna elettorale è del tutto innovativa rispetto a quelle dei precedenti leader, molto incentrate sul tema giustizia e sulla figura di Silvio Berlusconi. È allora che si inizia a parlare sempre più insistentemente del "maanchismo" veltroniano. Ma, soprattutto, Veltroni non nomina mai il Cav. Una precisa scelta politica, concentrarsi sui programmi e gli obiettivi da raggiungere, non sull'avversario. Ma anche dialettica, perché in una campagna elettorale qualche volta all'avversario tocca pur fare riferimento. E quando lo fa, Veltroni usa l'espressione, anche stucchevole quando ripetuta più volte, "principale esponente dello schieramento a noi avverso".

Il risultato non è quello che lui si aspettava, probabilmente: la coalizione guidata da Silvio Berlusconi stravince, ma il neonato Pd non sfigura. Soprattutto se si considerano due cose: la base di partenza, ovvero il disastro del governo Prodi caduto dopo due anni di continui litigi con Mastella da una parte, con Bertinotti e l'estrema sinistra dall'altra; e il dato percentuale, 33%, il miglior risultato mai ottenuto dal Pd in un'elezione politica (il 40% di Renzi arriva alle europee).

Beppe Grillo e i girotondini lo definiscono il "miglior alleato" del Cav.

Le consultazioni al Quirinale dopo le elezioni del 2008 (Ansa)
Le consultazioni al Quirinale dopo le elezioni del 2008 (Ansa)
Le consultazioni al Quirinale dopo le elezioni del 2008 (Ansa)

IL GOVERNO OMBRA E L'ADDIO DOPO IL FLOP IN SARDEGNA - Dall'opposizione propone un formula anglosassone, quella del governo ombra, che tuttavia in Italia non ha rilevanza istituzionale a differenza di quanto avviene in Gran Bretagna. Fiaccato dalle continue critiche dei dalemiani che gli rinfacciano di essersi inimicato la sinistra, lascia dopo la sconfitta nelle regionali sarde vinte da Ugo Cappellacci.

Sempre più insofferente a una politica fatta di slogan, tweet e post, nel 2012 annuncia che non si candiderà più alle successive elezioni. Si autorottama prima dell'arrivo del ciclone Renzi.

"Certe volte - dirà in un'intervista in cui si colgono tutte le difficoltà di un uomo d'altri tempi nell'adattarsi al nuovo stile della comunicazione politica - penso a cosa sarebbe accaduto se i social network fossero esistiti al tempo in cui Togliatti decise l'amnistia per i fascisti o quando Berlinguer ebbe il coraggio di sostenere che si stava meglio sotto l'ombrello della Nato che sotto quello del Patto di Varsavia".

Con Sophia Loren premiata in Campidoglio (Ansa)
Con Sophia Loren premiata in Campidoglio (Ansa)
Con Sophia Loren premiata in Campidoglio (Ansa)

IL CINEMA - Collezionista dei Beatles e amante del basket, la sua grande passione è il cinema. E ci si dedica a tempo pieno una volta lasciata la politica. Già nel 2005, curiosità, ha doppiato un personaggio di "Chicken Little - Amici per le penne", film d'animazione Disney. Poi ha girato diversi documentari, il primo nel 2014 è "Quando c'era Berlinguer".

Quest'anno è uscito al cinema il suo primo film, "C'è tempo". Racconta la storia di due fratellastri, il quarantenne Stefano, precario che di mestiere fa l'osservatore di arcobaleni, e il 13enne Giovanni, rimasto solo al mondo e di cui dunque il fratello maggiore dovrà occuparsi.

Al botteghino però fa flop, forse era più convincente come politico.

Con Renzi e Gentiloni (Ansa)
Con Renzi e Gentiloni (Ansa)
Con Renzi e Gentiloni (Ansa)

VELTRONI AI TEMPI DI RENZI - Le sue posizioni nei confronti di Renzi sono state a tratti contraddittorie, ma si possono inscrivere nella corrente di chi pensa che il "maanchismo" non sia per forza cerchiobottismo. Non condivide la foga rottamatrice del fiorentino, ne condivide spesso le politiche al governo, e soprattutto appoggia la riforma costituzionale che sarà bocciata dal referendum. Non vede di buon occhio la nascita di LeU, ma si rivela molto critico nei confronti di Renzi e del suo comportamento, soprattutto dopo il referendum che - è innegabile - ha fatto perdere lucidità all'ex presidente del Consiglio.

Ora parla di ius soli, denuncia la pericolosità della destra che sta prendendo piede un po' ovunque in Europa, e non chiude a un'alleanza con il Movimento 5 Stelle, proprio per contrastare l'ascesa di Salvini. Poche parole pronunciate nei giorni scorsi, che hanno scosso non poco il dibattito interno ai dem: "Tra poco saranno i 5 Stelle, e non il Pd, a dover decidere da che parte stare. È ora di ricostruire in questo Paese un sano bipolarismo tra centrosinistra e destra", ha affermato. E come lui la pensa Romano Prodi.

Il "nemico" D'Alema (Ansa)
Il "nemico" D'Alema (Ansa)
Il "nemico" D'Alema (Ansa)

IL NEMICO D'ALEMA - Lui e il lider maximo si rimpallano gli incarichi. Walter vicepremier e Massimo leader del partito, poi D'Alema premier e Veltroni leader del partito. Se Walter va a Roma, Massimo può esultare perché il suo eterno rivale si tira fuori dalle beghe di partito. Ma poi, quando c'è bisogno di un leader credibile per il nascente Pd, D'Alema in crisi per le vicende legate al caso Unipol e alle scalate bancarie, chiama proprio lui. Salvo dare il via, subito dopo le elezioni del 2008, ad una lunga campagna di delegittimazione che porterà Veltroni alle dimissioni.

Due caratteri profondamente diversi. Spigoloso e antipatico per vocazione uno, piacione l'altro, tanto da arrivare a rinnegare il suo passato comunista pur di piacere a più gente possibile. Sarcastico, pungente, caustico D'Alema, più retorico e coinvolgente Veltroni. Due personaggi importanti del recente passato politico, costretti a convivere nonostante le profonde differenze, caratteriali e di visione politica.

E, ironia della sorte, autorottamatisi praticamente assieme pur di non farsi rottamare da Renzi (poi D'Alema è ridisceso in campo, ma questa è un'altra storia).

Anni fa una certa parte della sinistra li vedeva come i simboli da far fuori per avviare il rinnovamento. E oggi, vista la carenza di leadership e di visione, più di qualcuno li rimpiange entrambi.

Davide Lombardi

(Unioneonline)

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