A ogni ministro dell'Economia la sua frase celebre.

Se tutti ricordano l'esternazione del compianto Tommaso Padoa Schioppa - titolare del dicastero sotto il secondo governo Prodi -, secondo cui "pagare le tasse era bellissimo", Giulio Tremonti resta nell’immaginario collettivo italiano come colui che crede che con la cultura non si mangi.

Parole che il tributarista originario di Sondrio ha sempre smentito pubblicamente di aver detto e che, secondo i retroscena, avrebbe invece pronunciato rivolgendosi al collega Sandro Bondi, allora alla guida di quello che oggi si chiama Mibact, nel corso di un Consiglio dei ministri piuttosto movimentato nel 2010.

"Quando gli si chiedono dei soldi lui risponde sempre che non ce ne sono", pare avesse sottolineato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a capo di quel governo, tanto criticato per i tagli alla cultura in un Paese che detiene il record del numero di siti patrimonio dell'Unesco.

Quella frase, interpretata e criticata da molti come frutto di una visione un po' miope di alcuni settori produttivi strategici del nostro Paese, continua a perseguitare Tremonti. Anche oggi che è lontano dalla grande scena della politica italiana.

Insieme a Silvio Berlusconi (Ansa)
Insieme a Silvio Berlusconi (Ansa)
Insieme a Silvio Berlusconi (Ansa)

UN UOMO PER TUTTE LE STAGIONI - Laureato in Giurisprudenza all'Università di Pavia, da giovanissimo è un astro nascente dell’accademia italiana: a ventisette anni è già professore di Diritto tributario e poi consulente tra i più noti e pagati d’Italia.

È solo a 40 anni che si avvicina alla politica attiva: nel turbinio della "Milano da bere" craxiana, da anni vicino a Gianni De Michelis, si candida con il Psi.

Poi, dopo Mani pulite, cambia più volte "casacca": prima aderisce ad Alleanza Democratica, da cui nel 1994 fuoriesce per seguire Mario Segni e il suo "Patto".

Eletto deputato nello stesso anno nelle liste del movimento fondato dal politico sardo, è pronto per un nuovo "salto": crea la Fondazione liberaldemocratica e vota la fiducia al primo governo Berlusconi, di cui diviene ministro delle Finanze.

Da quel momento la sua carriera politica resta legata a doppio filo alle alterne fortune del "Cavaliere nero".

Più che un braccio destro, Tremonti è il suo moderno Colbert, ricoprendo l'incarico di ministro dell'Economia e delle Finanze nel secondo (2001-2004), terzo (2005-2006) e quarto (2008-2011) Esecutivo guidato dal cav.

Abbassamento delle tasse per le imprese, abolizione delle imposte sulle successioni, misure protezionistiche, ma anche condoni. Questi ultimi li accetta a malincuore, perché - come afferma - "in Sudamerica il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni, ma mutando i fattori il prodotto non cambia: il condono è comunque una forma di prelievo fuorilegge".

La sua "missione" termina nel novembre 2011 con le dimissioni di Berlusconi, il governo tecnico di Mario Monti e la fondazione - nell'anno successivo - del movimento (rimasto sconosciuto ai più) "Lista Lavoro e Libertà per la Patria".

LE PHYSIQUE DU RÔLE - Non è stata solo questa "lunga fedeltà" al presidente del Consiglio più bersagliato da comici ad assicurargli un posto tra gli imitati illustri.

Corrado Guzzanti imita Tremonti
Corrado Guzzanti imita Tremonti
Corrado Guzzanti imita Tremonti

Tremonti ha avuto il privilegio di essere tra i personaggi di Corrado Guzzanti: il tono stridulo della sua voce e la pronuncia di una "erre" che suona come una "v" facevano di lui un perfetto bersaglio della satira.

Nella parodia magistrale del comico romano lui, in pantaloncini corti - incredibilmente somigliante all'originale - impreca, cercando di far tornare i conti del bilancio pubblico giocando "con il fuoco" alle slot-machine.

Oppure in giacca e cravatta litiga con una calcolatrice, alle prese con improbabili "tagli orizzontali".

Al centro di tutti quegli sketch, oltre al suo corpo e la sua parlata, c'è il "pessimo" rapporto con l'euro, una moneta che - secondo Tremonti-Guzzanti - "non si riesce nemmeno a pronunciare".

L'USCITA DI SCENA - Dopo il lunghissimo capitolo della carriera al fianco di Berlusconi, più recentemente il tributarista conclude la sua ultima legislatura lo scorso anno come senatore fra le file della Lega prima e del gruppo Grandi Autonomie e Libertà poi.

Decide di non ricandidarsi alle ultime politiche del 4 marzo 2018, quelle dell'exploit del Carroccio di Matteo Salvini.

Si ritaglia il ruolo di maître à penser - alla Link Campus University di Malta e alla presidenza del think-tank Aspen Institute Italia - senza trascurare quello più redditizio di consulente di grandi imprese del Paese.

"Odiato" dagli economisti, che continua ad attaccare, nell'era di Trump continua a predicare fedelmente le sue idee protezionistiche, supportando - tra le altre battaglie - la proposta di una web-tax e la necessità di regolamentare in modo più rigido l’attività dei cosiddetti giganti del web.

E ancora: nel 2017, a sette anni da quella frase, per lui mai pronunciata - "Con la cultura non si mangia" - arriva quasi a rivendicarla, con un libro, firmato a quattro mani con Vittorio Sgarbi, intitolato, guarda caso, "Rinascimento. Con la cultura (non) si mangia". Quasi un manifesto per un movimento, o un partito, mai sbocciato.

Ora, è certo: quella frase non lo abbandonerà mai.

Alessandra Favazzo

(Unioneonline)

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