"Io non l'ho mai visto", e "Ma chi è?".

Sono completamente spaesati, e un po' delusi, i bambini di "Alla lavagna", il format di Rai Tre in cui 11enni "interrogano" personaggi più o meno famosi.

Quando tocca ad Antonio Di Pietro, lunedì scorso, nessuno di loro ha idea di chi sia quell'uomo un po' ingrigito, a tratti impacciato, che timidamente entra nella classe che fa da set al programma.

Di Pietro si sgola, gli occhi a tratti luminosi come una volta, mentre spiega loro la differenza tra Tangentopoli e Mani Pulite, cosa fa un magistrato, cosa fa un poliziotto. Qualcuno lo osserva con un’attenzione posticcia, qualcun altro viene sorpreso nel pieno di uno sbadiglio, agli ultimi banchi gli sguardi sono decisamente imbambolati.

Come sono lontani i tempi in cui le gesta del pm eroe di Mani Pulite incantavano anche i bambini. E da Nuoro la piccola Noemi, in una lettera che sarà raccolta in un libro, gli scriveva: "Faccio la terza elementare. Sono certa che se starai attento nessuno ti toccherà, e quando tutti saranno arrestati tu sarai libero".

Di Pietro tra Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo (Archivio Ansa)
Di Pietro tra Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo (Archivio Ansa)
Di Pietro tra Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo (Archivio Ansa)

MANI PULITE - È il 17 dicembre del 1993, siamo nel pieno del processo Cusani-Enimont, il principale della stagione di Mani Pulite.

L'imputato alla sbarra balbetta, cerca con gli occhi l’aiuto del giudice, degli avvocati, persino dei giornalisti in sala, chini a scrivere febbrilmente. Sostiene, o almeno ci prova, le risate di scherno del pubblico, e solo a tratti alza lo sguardo, seppure con le spalle curve, in un atteggiamento difensivo, davanti all’uomo che sta smontando pezzo per pezzo l’istituzione che ha rappresentato per tutta la vita.

Quell’uomo, Antonio Di Pietro, ha poco più di quarant’anni: capelli neri, un po’ stempiato. Di fronte a lui, alla sbarra, c’è Arnaldo Forlani, ex segretario della Democrazia cristiana. In pochissimi, solo qualche mese prima, avrebbero pensato di poter vedere sotto i propri occhi la polvere cadere, in diretta, su quegli occhialoni da pentapartito, capelli canuti e impomatati, giacche rigide e cravatta perfettamente annodata.

Arnaldo Forlani durante il dibattimento (Frame Rai Tre)
Arnaldo Forlani durante il dibattimento (Frame Rai Tre)
Arnaldo Forlani durante il dibattimento (Frame Rai Tre)

Forlani, ad ogni "non so", "non me ne occupavo", “non era il mio compito” pronunciato, diventa sempre più vecchio. E per l’Italia, per ciò che lui rappresenta, è una liberazione.

Tonino Di Pietro è il vendicatore, il giustiziere della notte, una specie di "Robin Hood" contro i potenti e gli impuniti. Fuori dalle aule di Milano, il coro è da stadio: "Grazie Di Pietro", "Forza Di Pietro", "W Di Pietro", "Di Pietro vai fino in fondo" sono le scritte che tappezzano la città. Ma è tutto il Paese a seguire pruriginosamente il maxi processo, che in tv conquista uno share del 16 per cento.

Del pool (composto da Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Ilda Boccassini, Armando Spataro, sotto il coordinamento di Francesco Saverio Borrelli) Di Pietro è il volto più amato. Diventa un "marchio", il cui valore viene stimato dal famoso pubblicitario di Porto Torres Gavino Sanna in dieci miliardi di lire. Praticamente è una Chiara Ferragni degli anni Novanta. Gli vogliono intitolare stadi, gli dedicano poesie, le donne lo adorano.

Striscioni per Di Pietro a Montenero di Bisaccia (Archivio Ansa)
Striscioni per Di Pietro a Montenero di Bisaccia (Archivio Ansa)
Striscioni per Di Pietro a Montenero di Bisaccia (Archivio Ansa)

DA OPERAIO IN GERMANIA AL POOL - La toga, in quei processi, gli calza alla perfezione. Anche se con quel mantello nero e dorato, Di Pietro, non era nato. Molisano, di Montenero di Bisaccia, dopo il diploma come perito elettronico emigra in Germania, dove fa due lavori: lucidatore di metalli in una fabbrica metalmeccanica e operaio in una segheria.

Solo a 23 anni, tornato in Italia, si iscrive a giurisprudenza. A trenta vince il concorso come commissario di polizia e a 31 come uditore giudiziario. Fino all'assegnazione che gli cambia la vita: quella come sostituto procuratore alla Procura della repubblica di Bergamo e poi, nel 1985, di Milano.

Nel 1991 è ancora un anonimo magistrato quando su un mensile milanese spiega il sistema della corruzione nella "Milano da bere": "Si deve parlare di dazione ambientale, ovvero di una situazione oggettiva in cui chi deve dare il denaro non aspetta più nemmeno che gli venga richiesto; egli, ormai, sa che in quel determinato ambiente si usa dare la mazzetta o il pizzo e quindi si adegua".

Il 17 febbraio 1992, con la complicità dell’imprenditore Luca Magni, spia Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente milanese del Psi, mentre nasconde in un cassetto una tangente da sette milioni di lire appena ricevuta da Magni. Di Pietro lo fa arrestare mentre Chiesa, nel panico, si chiude nel bagno cercando di gettare nel wc un’altra tangente. Da 37 milioni.

Antonio Di Pietro e Mario Chiesa (Ansa)
Antonio Di Pietro e Mario Chiesa (Ansa)
Antonio Di Pietro e Mario Chiesa (Ansa)

Le manette a Chiesa scoperchiano un vaso di Pandora, dentro il quale turbinano politici, imprenditori, amministratori locali, in quell'intreccio di malaffare che viene ribattezzato Tangentopoli. I numeri sono spaventosi: 3.500 arrestati, 25mila inquisiti, quasi 500 i parlamentari coinvolti, tra ministri, ex ministri ed ex presidenti del Consiglio.

I suicidi sono decine. E se Di Pietro e il pool negano l’abuso della carcerazione preventiva, il popolo, quei quattro milioni incollati davanti alla tv, vuole esattamente quello: galera, manette, celle. In una parola, giustizialismo.

Il cast della serie di Sky "1992". Antonio Gerardi, al centro, interpreta Di Pietro (Ansa)
Il cast della serie di Sky "1992". Antonio Gerardi, al centro, interpreta Di Pietro (Ansa)
Il cast della serie di Sky "1992". Antonio Gerardi, al centro, interpreta Di Pietro (Ansa)

Mani Pulite non è solo un evento giudiziario senza precedenti: è un rito collettivo, fortemente potenziato dai media, in cui le sfumature sono ben poche. Ci sono i cattivi, quelli che hanno sperperato miliardi di lire degli italiani, e ci sono i buoni, che puntano il dito richiamandosi ai valori, all'etica, alla morale.

Le conseguenze politiche sono devastanti: nelle amministrative del 1993, la Dc perde metà dei voti, del Psi non rimane quasi niente. A nulla serve la strategia di Bettino Craxi, che sui finanziamenti illeciti ai partiti, in totale contrasto con il "non sapevo" di Arnaldo Forlani, oppone a Di Pietro uno strenuo "tutti sapevano". Quando su di lui comincia a incombere lo spettro dell’arresto, è già troppo tardi: è scappato in Tunisia.

Cala il sipario sulla Prima repubblica, e il pm di Montenero di Bisaccia, all’apice di un successo plebiscitario, sorprende tutti. Appende la toga al chiodo e scende in politica.

A Roma l'insegna di un negozio in "dipietrese" (Archivio Ansa)
A Roma l'insegna di un negozio in "dipietrese" (Archivio Ansa)
A Roma l'insegna di un negozio in "dipietrese" (Archivio Ansa)

LE DIMISSIONI E LA POLITICA - Di Pietro è troppo esposto ed è ormai diventato bersaglio di polemiche interessate e strumentali, tese a distruggere la credibilità di Mani Pulite. Lo definiscono agente segreto del Kgb, della Cia.

Troppo per un magistrato che ha fatto dell’onestà il suo cavallo di battaglia: "Erano stati messi in discussione il mio operato investigativo e la mia dignità umana", dirà in un libro dal titolo evocativo, "Il Guastafeste" (Ponte alle Grazie, 2008) in cui racconta, con Gianni Barbacetto, il passaggio da magistrato a politico.

La decisione è irrevocabile: "Ti prego vivamente di non propormi alcun invito al ripensamento - scrive il 6 dicembre 1994 nella lettera di dimissioni inviata a Borrelli -. Perché le mie dimissioni sono irrevocabili, come testimonia questa doppia mia firma".

Non è solo una questione di "dignità umana", però. Nelle aule di tribunale, Di Pietro ha smascherato un sistema velenoso ma "spetta alla politica trovare la cura".

ll politico, ora, è lui. E trovare una cura ai mali della società diventa la sua missione.

L’ITALIA DEI VALORI - Dopo aver ricoperto per sei mesi il ministero dei Lavori pubblici, accettando l'invito di Romano Prodi, nel 1997 viene eletto senatore del Mugello, battendo il rivale Giuliano Ferrara.

Di Pietro eletto senatore (Archivio Ansa)
Di Pietro eletto senatore (Archivio Ansa)
Di Pietro eletto senatore (Archivio Ansa)

A quel punto comincia a preparare il suo movimento politico "per rilanciare la questione morale e della legalità nella politica e negli affari". Il nome è tutto un programma: l’Italia dei Valori.

Nonostante le altisonanti premesse, l'Idv è un partito “a conduzione familiare", nelle cui fila entrano personaggi non sempre credibili che, appena saliti sul carro, non hanno esitato a disperdersi. A Di Pietro, per dirne uno, si deve l'approdo in Senato del folkloristico Antonio Razzi.

Tra altalenanti alleanze (con i Democratici diventa europarlamentare) e percentuali spesso deludenti, qualche volta meno, (nel 2006 diventa ministro delle infrastrutture nel secondo governo Prodi), il momento migliore Di Pietro lo vive nel 2008, entrando in coalizione con il Pd e ottenendo con il partito il 4,4% alla Camera e il 4,3% al Senato.

Il  primo simbolo dell'Italia dei Valori (Archivio Ansa)
Il  primo simbolo dell'Italia dei Valori (Archivio Ansa)
Il primo simbolo dell'Italia dei Valori (Archivio Ansa)

Il suo progetto politico però non decollerà mai: la presidenza dell'Idv viene più volte messa in discussione finché, nel 2014, viene costretto a cederla al segretario Ignazio Messina.

Il bilancio è impietoso.

Magistrato impeccabile, politico deludente, non solo Di Pietro non troverà mai quella "cura" ma finisce lui stesso, il paladino dell'anticorruzione, invischiato negli scandali: prima la candidatura del figlio Cristiano al Consiglio regionale del Molise, poi il servizio di Report che lo accusa di aver comprato decine di proprietà con i fondi ricavati da rimborsi elettorali. "Un agguato travestito da inchiesta", si difende lui tentando di salvare una credibilità, ormai, scalfita.

OGGI, CHE FINE HA FATTO? - "C’è chi si rilassa sciando, io mi rilasso sul trattore".

Antonio Di Pietro è tornato nel suo Molise, in quelle terre che ha lasciato a 18 anni.

Di Pietro "campestre" paparazzato da Chi (foto Chi)
Di Pietro "campestre" paparazzato da Chi (foto Chi)
Di Pietro "campestre" paparazzato da Chi (foto Chi)

Qui, ha raccontato in un’intervista a Vanity Fair, ha riaperto l’azienda del padre e coltiva "uva, olio, vino e grano". La sua casa, in campagna, è sommersa di faldoni, perché porta avanti strenuamente le cause di diffamazione contro chi "in questi 25 anni me ne ha dette di tutti i colori". La politica c’è, anche se con l'Italia dei Valori "non ci azzecca più niente" e alle ultime elezioni Matteo Renzi ha posto il veto sulla sua candidatura nel collegio uninominale di Campobasso.

Come biasimare i bambini di "Alla lavagna", ignari di chi fosse: difficile che alle scuole elementari si studi il 1992 e il racconto concitato di quell'inchiesta, il sogno di "ripulire le mani sporche" di chi era chiamato a fare gli interessi del popolo, li sfiora appena.

Il loro giudizio su quel personaggio, alla fine della puntata, è ancora più implacabile di quello che ha dato o darà la Storia: "È simpatico, ma troppo agitato: ha sudato molto".

Angelica D’Errico

(Unioneonline)
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