Caos nei pronto soccorso di Cagliari: ambulanze bloccate
Anno nuovo, non cambia niente negli ospedali di Cagliari. Tredici ambulanze in fila all’esterno del pronto soccorso del Brotzu. Una in meno davanti a quello del Policlinico Duilio Casula. Situazione più tranquilla, invece, al Santissima Trinità. Ma anche lì, anche se questa ormai non è una notizia, le attese per i pazienti sono lunghe.
Questo il quadro (devastante) cristallizzato quando non erano ancora le 18 del 2 gennaio: uno stallo certificato da foto e video, più che dai dati statistici resi pubblici attraverso il report ufficiale pubblicato in tempo reale da Sardegna Salute, sito della Regione dedicato al settore sanità. Perché ci sono numeri che sfuggono al monitoraggio: i dati forniti non sono falsi, ma scontano il mancato adeguato tracciamento di alcuni pazienti ancora da sbarellare. Ossia di coloro che sono arrivati in ospedale in ambulanza, sono stati presi in carico con il triage che ne valuta le condizioni per l’assegnazione del “colore” e poi restano in corridoio, o nelle salette mediche. Per ore e ore. Anche giornate intere.
Tenuti sopra le barelle, appunto, che erano state utilizzate per il trasporto a bordo dei mezzi del 118. La conseguenza: loro aspettano dentro, i soccorritori – che non hanno più la barella in ambulanza - attendono, garantendo anche la vigilanza sul paziente. E il territorio rimane scoperto, perché i veicoli di soccorso sono bloccati da un circuito andato in corto.
Al Brotzu è capitato anche che gli equipaggi del 118 siano stati tenuti fermi anche se all’interno c’erano letti liberi nelle medicherie. E su quelli potevano essere trasferiti i pazienti.
«Vero, è successo, e lo rivendico», spiega il primario del pronto soccorso dell’Arnas, Fabrizio Polo, «perché c’è una ragione: qui il personale non basta, non abbiamo triagisti sufficienti. E i reparti sono saturi, non possiamo effettuare il ricovero per mancanza di letti. Ma non posso permettere che un paziente venga abbandonato a se stesso. Tenendolo sulle barelle delle ambulanze, chi sta male viene monitorato dai soccorritori del 118». Che fanno riferimento all’Areus e non agli ospedali: sono spesso i volontari, quindi, ad andare a tappare le falle di un sistema ospedaliero che ci mette poco ad andare in tilt. Il rischio è che le ripercussioni si abbattano sul sistema del soccorso: se le ambulanze sono ferme in ospedale, chi va a salvare quelli che chiedono aiuto? Le guardie mediche non ci sono, i reparti degli ospedali periferici chiudono. I medici di famiglia sono sempre meno. «Se continua così, qui conteremo i morti», dice un soccorritore con molti anni di esperienza.