Un metro è poco. La distanza minima da tenere per proteggersi da un eventuale contagio del virus dovrebbe essere decisamente superiore. Però il rischio dipende da un insieme di fattori. Le cose cambiano se si parla o si sta zitti, se si sussurra, si strilla, si canta, si mangia, si prega. I droplet, le goccioline di saliva, fanno strani giri, modificano la loro traiettoria se ci troviamo all'aperto o in uno spazio chiuso, se abbiamo alle spalle una finestra aperta, se c'è l'aria condizionata o il riscaldamento, se indossiamo la mascherina, se siamo seduti a tavola o stiamo correndo in un parco.

All'Azienda ospedaliero-universitaria di Cagliari c'è un team di scienziati guidati da Germano Orrù (professore di Scienze tecniche mediche applicate) che sta portando avanti un progetto affascinante e utilissimo per la misura reale della possibilità di trasmissione del virus in diversi ambienti di aggregazione umana. In pratica, Orrù, il professor Enrico Peiretti (oculista del San Giovanni di Dio) e le dottoresse Alessandra Scano, Sara Fais e Cinzia Casu, hanno inventato un manichino che "sputacchia" in diverse modalità e situazioni - simula un discorso, un colpo di tosse, una risata - per studiare dove vola e si appoggia l'aerosol. L'obiettivo è quello di realizzare protocolli sicuri, azioni di contenimento dell'epidemia per consentire di far lavorare (anche) gli agriturismo delle zone interne e risollevare il destino di aree depresse.

Ecco in sintesi il progetto, spiegato dal professor Orrù. L'epidemia da Sars-CoV-2 sta causando un enorme stress ai sistemi sanitari e produttivi. E nelle aree interne della Sardegna, dove tanta parte dell'economia è legata al turismo stagionale, l'impatto è ancora più pesante, perché la paura di essere infettati inibisce i clienti e di conseguenza interrompe le attività di ristoranti, agriturismo, b&b, feste paesane. Il coronavirus, al pari di altri virus respiratori, si trasmette per via aerea, e questa caratteristica, unita alla sua patogenicità e virulenza, sta limitando fortemente anche i rapporti sociali. Insomma, bisogna in qualche modo ricominciare a vivere, in sicurezza.

Il rischio di infezione nei luoghi di aggregazione è stato studiato già nella prima ondata, anche nei ristoranti di Wuhan in Cina, ed è stato dimostrato che in realtà le distanze interpersonali indicate nelle procedure standard possono non essere sufficienti, ad esempio, a causa delle correnti d'aria del locale dovute agli impianti di condizionamento. Un dato che pone in forte discussione i protocolli di profilassi oggi in uso in diversi luoghi, come appunto ristoranti, scuole, uffici, mezzi pubblici. Considerate zone pericolose.

Dunque, lo scopo della ricerca degli scienziati cagliaritani - per la quale è stato chiesto un finanziamento ministeriale - è quello di trovare soluzioni per il monitoraggio delle probabilità di infezione, con sistemi di simulazione, la mappatura della ricaduta dei droplet salivari nell'ambiente e il contrasto alla contaminazione di aria e superfici con misure efficaci. Tutto questo con sperimentazioni sul campo, da fare con la collaborazione e l'intervento di diverse amministrazioni comunali e imprese nel Gennargentu e nel Mandrolisai.

Il manichino altro non è che un generatore di aerosol con potenze di emissione e flussi confrontabili con quelle della voce umana. Per gli esperimenti si utilizza saliva sintetica sterile, con le stesse caratteristiche chimico-fisiche di quella umana. La saliva viene contaminata con delle spore, che in pratica "interpretano" il virus. Secondo recenti studi, in una parlata standard di 5 minuti un soggetto infetto produce circa 10.000 goccioline salivari portanti 3000-100.000 virus.

Dalla "parlata" del manichino i droplet vengono distribuiti nell'ambiente e catturati da speciali filtri, in seguito l'analisi di laboratorio fornirà un dato quantitativo della contaminazione per metri quadri di superficie analizzata.

Ma il progetto di ricerca è molto più complesso. Sarà realizzato un sistema molecolare in grado di rilevare il Dna batterico contenuto nelle spore, oppure l'Rna virale, e i filtri cattureranno le spore nell'aria. Gli acidi nucleici estratti dai filtri verranno rilevati con la tecnica ultrasensibile della Droplet Digital Pcr, una procedura molecolare di nuova concezione, in grado, rispetto a quelle di uso corrente, di rilevare anche pochissimi genomi virali o batterici. Verranno inoltre progettate delle sonde per rilevare e quantificare con la Ddpcr i marcatori batterico e virale.

A fine studio, i campioni di "filtro virus catturante" verranno posizionati nei punti chiave degli ambienti e poi inviati in un laboratorio per la ricerca dell'Rna virale. Ancora: saranno utilizzati filtri di cattura naturali ed ecosostenibili che, per dire, potranno essere fatti con la lana di pecora, prodotti e commercializzati negli stessi paesi dell'interno teatro degli esperimenti, in modo da creare un'altra possibile ricaduta economica.
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