L’Australia esclude i ragazzini dai social network e l’Europa ci pensa. È possibile?
Il Governo mette in capo a i fornitori di servizi l’obbligo di accertare se il titolare del profilo ha 16 anni, altrimenti deve cancellarlo: le multe possono arrivare a 28 milioni di euro. Ma i controlli non sono faciliPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ci avevano promesso un luogo idilliaco in cui tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione, eludendo qualunque norma antidemocratica perché le stesse regole sarebbero valse in tutto il mondo, abbattendo ogni steccato. E che cosa ci hanno dato, in realtà? Un luogo virtuale in cui c’è tanto di bello, ma almeno altrettanto di orrendo.
Internet, la rete americana poi dismessa dalla loro Difesa e importata in Europa nel 1994 da Nicola Grauso, all’epoca editore de L’Unione Sarda, non è quel luogo da sogno che ci avevano promesso. O meglio: lo è, ma al contempo è capace di diventare una fogna traboccante di pedopornografia, aggressioni morali, diffamazioni, suicidi soprattutto di minori e tante altre nefandezze ingestibili per tanti di noi. Figuriamoci allora per i ragazzini, che imparano a proprie spese che cosa significa essere socialmente rovinati se qualcuno che sa usare la Rete te la scaglia contro.
Non possiamo far fare a loro, ai ragazzi: troppi sono già finiti sotto terra perché morti in assurde prove di coraggio o per suicidio, e non è che poi i genitori abbiano tanta capacità di tutelarli. Molto spesso non ne hanno le competenze, in molti altri casi non ne hanno voglia, in altri sottovalutano quali guasti possa portare con sé Internet quando ti entra in casa e non la sai maneggiare né sorvegliare. E quindi non sai preservare i tuoi figli dai pericoli.
In Australia, caso limite dopo caso limite, si è deciso per la linea dura: dal 10 dicembre è vietato, per i social network, fornire un profilo social a chi ha meno di sedici anni. La legge, sotto certi aspetti, è assai ben fatta: se un ragazzino ad esempio quindicenne ha un profilo Facebook, o Instagram, o Threads o qualunque altro social network vogliamo nominare, lui non rischia nulla, e nemmeno i suoi genitori. La colpa, per legge, sarà della società che gli ha permesso di avere un proprio profilo, e quindi a quella società spetterà pagare la sanzione. E no, non sono pochi dollari: la società potrebbe dover sborsare fino all’equivalente di 28 milioni di euro.
E quindi sì, possiamo dire che il gioco sporco di esporre i minorenni a un mondo crudele, al quale non sono assolutamente preparati, non vale più la candela, ma attenzione: il discorso è valido fin quando la piattaforma sa che quell’utente ha meno di sedici anni. Il problema, ora, si sposta: mentre cancella i profili dei ragazzini, come fa a sapere che ha a che fare con un under 16?
Quesito difficile, risposta ancora più complessa. L’Australia ha deciso che i social network hanno l’obbligo di implementare sistemi efficaci per accertare l’età degli utenti. Dovrà, anzi, già deve fare analisi del volto, verifiche documentali, usare sistemi biometrici e indicatori comportamentali registrati con l’intelligenza artificiale.
Il compianto telecronista Bruno Pizzul, a questo punto, avrebbe detto «è tutto molto bello». Ma (ricordate?), l’avevamo detto anche noi quando ci presentarono l’idea di Internet tutta servizi alle persone e alle famiglie, luogo che fa vivere il mondo a tutti, strumento di democrazia. Ma basta andare in Cina, solo per fare un esempio, per avere la dimostrazione che sul web si fa solo quel che la dittatura vuole e consente. E il resto no.
Serve una soluzione tecnica il più possibile infallibile: dirlo è facile, farlo è – come spesso accade – tutta un’altra storia. Meta, proprietaria dei maggiori social network e che fa capo a Mark Zuckerberg, una proposta che parrebbe onesta – anche perché rischia sul seroi multe pesanti come ceffoni – l’avrebbe: affidare il compito di mediazione con l’utente under 16 al proprio App store, cioè la piattaforma da cui si scaricano le applicazioni, Facebook e compagnia comprese. In questo modo, dice Meta, un controllo che impedisce o consente di scaricare un’app a seconda dell’esito del controllo preventivo risolverebbe qualunque problema per i ragazzini: non hai sedici anni? Non ti faccio scaricare l’app, e quindi non servono ulteriori verifiche: non puoi usare un’app che non hai potuto installare.
Anche qui, lo spirito di Bruno Pizzul vorrebbe bussare alla porta con uno sguardo sognante, ma a gelare ogni sorriso ci pensa il concorrente di Meta, cioè Google. Siccome i ragazzini sono esperti ma i loro genitori spesso no, se vietiamo agli under 16 di accedere autonomamente al market place delle app, automaticamente mamma e papà perderanno la possibilità di monitorare i loro account. Questo perché non saranno più in grado di utilizzare i controlli e i blocchi che hanno impostato, quindi dovranno affidare i controlli ai controllati, cioè ai ragazzini. Così non se ne esce.
Ma i problemi non sono finiti. Già, perché prima che scattasse il blocco, non pochi ragazzini australiani hanno creato account con età false, altri hanno profili gestibili congiuntamente con gli ignari genitori e quindi di fatto hanno accesso a tutti i contenuti. E poi ci sono le VPN, cioè le reti digitali virtuali, con le quali si entra in Internet da altri Paesi e si aggirano blocchi e controlli: non risulti più australiano, quindi la legge di quel paese non si applica.
Insomma, la strada è complessa, ma l’Australia ha comunque deciso di provarci. Facendo così da apripista ad altri Paesi che si pongono lo stesso problema. Lo sta facendo anche l’Europa, ma da queste parti siamo appena all’inizio. La Danimarca segue una strada tutta sua per impedire l’accesso ai social agli under 15. In Kenya il compito di verificare l’età dell’utente è in capo alla casa produttrice della singola app.
Nulla, però, può essere efficace quanto il controllo (purché efficace) dei genitori. E allora, il dibattito si sta spostando: prepariamo non solo i ragazzi a un uso consapevole di Internet e dei social network, ma rendiamo possibile ai genitori capirci qualcosa e impostare limiti e blocchi. Come? Con i corsi di alfabetizzazione digitale, magari nelle scuole frequentate dai figli.
Ce la faremo mai?
