Su Wikipedia la sua vita è racchiusa in oltre undici “capitoli” più vari sottoparagrafi: solo quella di Aldo Moro occupa più spazio. Ma più impressionante è la bruciante definizione iniziale che compare in testa alla pagina: Wanna Marchi è “un personaggio televisivo e truffatrice italiana”. All'inizio tutta l’Italia televisiva ne rideva, anche se restava ipnotizzata; oggi non se ne può parlare senza che un brivido ti serpeggi lungo la schiena. Wanna Marchi fa parte a pieno titolo della cultura pop italiana, ma c’è ancora molto da scoprire sulla storia della televenditrice più controversa del Paese. La docufiction (firmata da Alessandro Garramone) “Wanna”, in onda su Netflix, che racconta il Paese attraverso le televendite, l’illusione di creme scioglipancia e antirughe, prova a fare luce su ogni angolo rimasto in ombra (ma non ci riesce pienamente) grazie a oltre 60 ore di interviste da 22 testimoni, comprese proprio Wanna e la figlia Stefania, più 100 ore di materiali d’archivio.

Il ritorno. Ci mettono la faccia Wanna e la figlia Stefania, questo è vero. Inevitabile, penserà qualcuno: se c’è una telecamera ci sono anche loro. In realtà il ragionamento è: dopo che ho scontato la pena perché dovrei nascondermi? Forse non basta questo, però, ad assolverle da una condanna per truffa (scontata per intero, dal primo all’ultimo giorno, un fatto abbastanza raro quando accade). Di sicuro non è sufficiente per tentare di accreditarle di simpatia. Ma è anche vero che non è certo della loro simpatia che si discute. “Facevamo anche 12, 15 miliardi”, di lire, “al mese. Io sono Wanna Marchi e voi chi siete? Non vi conosco”, dice. Stessa voce, stesso tono aggressivo, sfidante: i capelli sono argentati, non più rossi. Ha 80 anni, ma è sempre lei. Sempre smodata, tracimante, sconcertante.

Negli anni 80 le tv private proliferano, ore di televendite di tappeti, pellicce, gioielli. Wanna Marchi sa che “sono le casalinghe a tenere i cordoni della borsa” e si rivolge a loro. “Sono la classica persona che si è fatta dal niente, meno di niente” dice. Nel 1974 a Bologna, per sbarcare il lunario truccava i morti all’obitorio. “Un giorno”, racconta nella serie, “truccai una ragazzina morta giovanissima. Alla fine la madre mi infilò in tasca un milione e mezzo di lire”. Ci comprò una 500 blu, ma soprattutto capì di avere un talento straordinario da sfruttare. Lei, la donna che era riuscita a mettere un prezzo persino alla fortuna e a cui quella fortuna ha girato improvvisamente le spalle in un’aula di tribunale (dopo un’inchiesta di Striscia la Notizia), aveva capito sin dagli esordi che tutta la pubblicità è indimostrabile. Un po’ come accade talvolta con la propaganda elettorale, quando promette interventi miracolosi, neanche fossero i numeri del lotto del maestro di vita do Nascimiento.

Il successo. Chiunque può esercitarsi con la fantasia a ritornare a quei anni Ottanta e Novanta, i suoi tempi. Wanna fa crescere accanto a sé la figlia Stefania Nobile e insieme formano un coppia formidabile, simbiotica (dormono oggi in una stanza unica). E’ una fuoriclasse senza discussione Wanna Marchi: la lotta e gli insulti contro l’adipe sono state per lei una santa crociata. Non incoraggiava le clienti, le insultava per convincerle (e ci riusciva) ad acquistare le creme scioglipancia: “Fate schifo”. A poco a poco è diventata così padrona della scena, così sovrana nel dettare i tempi televisivi che si è messa a dispensare consigli, fino a diventare un modello per la tv. C’è stato un momento in cui erano dappertutto: da Maurizio Costanzo, da Enzo Biagi, da Giampiero Mughini.

La storia insegna? Quando poi sono arrivati i magistrati (dopo l’inchiesta di Striscia) sono andate in galera, madre e figlia, e a quel punto erano però passati già diversi anni, guadagni pazzeschi e vite soffocate nei debiti (c’è la testimonianza nelle serie tv di una persona che ha speso 250 milioni di lire). Alla fine, però, piace la serie dedicata a Wanna Marchi. Piace perché in fondo racconta la storia di un Paese che si è lasciato sedurre dal nulla (e qui non è certo colpa solo di mamma e figlia). Molti penseranno: quelle cose oggi non potrebbero capitare più. Non è vero. Le truffe esistono ancora: da alghe, numeri al lotto e amuleti siamo passati al falso commercio elettronico, alle finte criptovalute, etc. Il nulla basta soltanto saperlo vendere. 

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