Mar Mediterraneo sempre più caldo, ecosistema a rischio
Gli effetti del cambiamento climatico sul Mare Nostrum secondo Roberto Danovaro, professore di biologia marina all’Università delle MarchePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Ondate di calore frequenti, notti tropicali, l’acqua del mare sempre più calda. Anche quella 2025 si prospetta un’estate rovente, effetto di cambiamenti climatici sempre più evidenti e con effetti devastanti sugli ecosistemi soprattutto quando nei mesi estivi le acque del Mediterraneo raggiungono temperature superiori a quelle tropicali.
Nella Giornata internazionale del Mediterraneo (che si è celebrata l’8 luglio scorso), il WWF Italia ha rilanciato l’allarme sui rischi legati ai cambiamenti in particolare perché il Mare Nostrum dei romani si riscalda più di qualsiasi altro oceano.
«Oggi è sempre più evidente che mari e oceani si sono ammalati: si stanno acidificando e scaldando troppo velocemente, soprattutto il Mediterraneo, con effetti negativi sugli organismi marini e sugli ecosistemi» spiega Roberto Danovaro, professore di biologia marina all’Università Politecnica delle Marche e presidente della comunità scientifica del WWF Italia. Il Mediterraneo copre meno dell’1% della superficie degli oceani globali e contiene lo 0,3% delle acque. È una sorta di enorme “pozza”, con una profondità media di circa 1,5 chilometri (contro i quasi 4 km dei grandi oceani). Dato che è poco profondo, le sue acque si riscaldano a tassi superiori rispetto a quelli di ogni altro mare. «In questo “oceano in miniatura” - sottolinea Danovaro– possiamo osservare i cambiamenti come fossimo in un gigantesco laboratorio naturale. In questo modo possiamo capire e prevedere anche la risposta dei grandi oceani ai cambiamenti globali». Le ondate di calore stanno cambiando i paesaggi sottomarini, sconvolgono gli equilibri naturali favorendo anche l’invasione di specie aliene. «Temperature troppo alte favoriscono la penetrazione di molte specie tropicali come microalghe, piante marine e pesci esotici che stanno entrando sempre più numerosi attraverso il Canale di Suez dal Mar Rosso o dall’Atlantico – aggiunge – Di contro molte specie del Nord-Mediterraneo, ad esempio quelle del Golfo di Trieste o del Mar Ligure, preferiscono acque più fredde e sono messe in forte difficoltà dalle ondate di calore estivo».
Un esemplare di Caretta caretta (foto concessa)
Il docente universitario fa notare che durante le estati super calde, come quella del 2024, in condizioni meteorologiche particolari con stagnazione delle acque, le temperature sono salite oltre i 30 gradi riscaldando le acque anche a 30 metri di profondità dove vivono molti organismi sessili (ovvero attaccati alla roccia) come le gorgonie, il corallo rosso e le spugne che subiscono un forte stress e rischiano la morte per il gran caldo. «A partire dalla fine degli anni ‘90 in molte aree del Mediterraneo si sono registrate gravi morie e il risultato è un panorama sottomarino desertificato, con effetti negativi anche sulla pesca. In questa condizione, che si sta verificando anche quest’anno, diventa concreto il rischio di carestia marina: la quantità di cibo disponibile per gli organismi marini diminuisce» aggiunge. «La fonte primaria di cibo è legata ad alghe microscopiche, ma anche le macroalghe sono importanti e con le ondate di calore crolla la loro produzione con conseguente carestia per le specie marine che utilizzano le risorse. L’ondata di calore del 2024 ha spazzato via molte foreste di grandi alghe brune e anche praterie sommerse di Posidonia oceanica che arricchivano gli habitat delle coste italiane».
Una foca monaca (foto concessa)
La soluzione potrebbe arrivare dalla tutela della biodiversità. «Recenti studi hanno dimostrato che un sistema ricco di specie resiste molto meglio ai cambiamenti climatici di un sistema impoverito. Questa soluzione, che va attuata subito, ci darebbe più tempo per mitigare i cambiamenti climatici riducendo l’uso di combustibili fossili» sostiene il docente. Altra carta da giocare per salvare l’ambiente è il «restauro ecologico. Si tratta di una sorta di terapia intensiva per il recupero degli habitat danneggiati o distrutti dall’uomo o dai cambiamenti climatici, una misura prevista anche dalla nuova legge sul restauro della natura dell’Unione Europea». Il WWF è partner del progetto Life adapts, cofinanziato dall’Unione Europea e coordinato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, per la tutela della biodiversità. Sarà portato avanti condotto in Italia, Grecia e Cipro, paesi mediterranei in cui sono state identificate alcune aree chiave per la vita e la riproduzione di tre specie simbolo del Mare Nostrum: tartaruga verde, la tartaruga caretta e la foca monaca.