I 40 anni dei Live Aid, i concerti che cambiarono la storia
Le due manifestazioni che si tennero in contemporanea a Londra e Filadelfia avevano uno scopo beneficoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Fa una certa impressione, quarant’anni dopo, rileggere quell’elenco di musicisti, quel concentrato di star che forse solo a Woodstock nel ’69 era stato così qualificato.
Con una differenza: le due manifestazioni che si tennero in contemporanea a Londra e Filadelfia avevano uno scopo benefico e gli organizzatori – anche grazie al singolo "Do They Know It's Christmas" - riuscirono a incassare 150 milioni di dollari destinati alle vittime della carestia in Etiopia.
Bentornati al Live Aid, l’iniziativa visionaria di un musicista poco conosciuto, Bob Geldolf, che riuscì a coinvolgere 52 big del pentagramma, il meglio che potesse offrire il panorama di quegli anni, convincendoli a esibirsi sul palco dello stadio di Wembley e su quello del Jfk Stadium.
Nella capitale britannica c’erano, in rigoroso ordine alfabetico, Adam Ant, i Boomtown rats (il gruppo di Geldolf), David Bowie (che dedicò Heroes a suo figlio), Phil Collins, Elvis Costello, i Dire Straits, Brian Ferry, Davide Gilmour, Elton John, Howard Jones, Paul McCartney (a cui si spense il microfono mentre eseguiva al piano “Let t be”), Nick Kershaw, Brandford Marsalis, Allison Moyet, i Queen, Sade, Gli Spandau Ballet, gli Status Quo, gli Style Council, Sting, gli U2, gli Ultravox, Paul Young, gli Wham e gli Who.
Negli Stati Uniti un’altra line up stellare: Brian Adams, Joan Baetz, i Black Sabbath, The Cars, Eric Clapton, i Duran Duran, Darryl Hall e John Oates, Mick Jagger, Billy Joel, Waylon Jennings, Pati La Belle, i Judas Priest, Kris Kristofferson, Huey Lewis & The News, Tom Petty, Robert Plant, i Power Station, i Pretenders, Santana, Paul Simon, Simple Minds, i Temptation, i Thomson Twins, Crosby, Stills, Nash & Young, Stevie Wonder. E Phil Collins che prese il Concorde e riuscì a suonare in entrambi i parchi approfittando della differenza del fuso orario. "Assurdo! Questo pomeriggio ero in Inghilterra! Il mondo è strano", disse sul palco il front man dei Genesis.
La performance più apprezzata fu quella dei Queen, che contrariamente agli altri che fecero un solo brano (ad eccezione di Brian Ferry ed Elton John, che fece tre brani e duettò in altri due con Kiki Dee e George Michael in una straordinaria “Don’t let the sun goes down on me”) fecero un mini concerto con sei brani e regalarono ai 72mila spettatori di Wembley una delle migliori performance della loro carriera. Iniziarono con "Bohemian Rhapsody", proseguirono con "Radio Ga Ga", "Hammer To Fall", "Crazy Little Thing Called Love", "We Will Rock You" e chiusero con "We Are The Champions".
Più strutturata l’esibizione del Jfk Stadium dove non solo gli artisti fecero più brani ma ci furono più collaborazioni: i Led Zeppelin, ad esempio, fecero Rock and Roll, Stairway to heaven e Whole lotta love con Phil Cillins alla batteria e Bob Dylan suonò con Ron Wood e Keith Richars Blowin in the wind. Un’esibizione che passerà alla storia come una delle più strampalate dei tre musicisti tra corde rotte (Wood prestò la sua chitarra a Dylan poi ne ricevette un’altra scordata) e una palese alterazione psichica.
I live, che si conclusero con le esibizioni di "Do They Know It's Christmas" e “We are the world”, tennero incollati ai teleschermi per 16 ore due miliardi di telespettatori in circa 150 Paesi e consegnarono quei concerti alla storia.