Giovedì scorso, all’indomani dell’ennesimo e durissimo attacco russo, si è tenuta a Roma, alla presenza di numerosissimi leader di governo, di organizzazioni internazionali, di imprese, di autorità locali, e di una delegazione svizzera, la Conferenza sulla Ricostruzione dell’Ucraina. Precisamente si è trattato del quarto incontro avente ad oggetto il medesimo tema. A cambiare è stata la location. A dare il via al summit è stata Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio dei Ministri.

Al di là dell’impegno alla ricostruzione, ad emergere, sembrerebbero essere stati altri aspetti. Tanto per cominciare, la difficoltà di assicurare l’atteso “cessate il fuoco” che, invero, sembrerebbe ancora lontano e che per ciò stesso, allo stato, parrebbe congelare le buone intenzioni dei partecipanti alla Conferenza. Poi, e di conseguenza, la rinnovata richiesta, da parte di Volodymyr Zelensky, di armi per la difesa. Ed ancora, l’ombra delle altalenanti dichiarazioni di Donald Trump, da ultimo lasciatosi andare a critiche dure nei confronti del contraddittore russo, che sembrerebbero forse dettate più che da un rinnovato convincimento personale, dalla constatata difficoltà di trovare un punto di intesa concreto e fattivo con il Presidente Vladimir Putin, il quale, con gli attacchi sferrati da ultimo, parrebbe quasi aver voluto esprimere il proprio disappunto rispetto all’iniziativa occidentale.

Ultimo aspetto, ma non ultimo evidentemente, l’intesa tra Keir Starmer ed Emmanuel Macron, i quali “Volenterosi”, da Londra, ed in videoconferenza, hanno partecipato insieme all’incontro di Roma. E forse, a ben considerare, potrebbe non essere un pensiero ardito quello di ritenere che il nuovo asse franco-inglese, in realtà, rifletta, al di là della circostanza che lo ha occasionato, l’esigenza di esprimere un inedito centro di forza in Europa idoneo (negli intendimenti dei suoi protagonisti) a condizionarne l’agire e a fungere da contrappeso alla Germania di Merz.

E se Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione Europea, da parte sua, non ha mancato di ribadire che l'Ucraina può contare sul pieno sostegno dell'Unione Europea per contribuire alla rinascita del Paese, di fatto, e tuttavia, la guerra è ancora in corso, e, per ciò stesso, a tutt’oggi non si conosce ancora l’esito e/o l’entità del bilancio complessivo del conflitto e quali e quante risorse, materialmente, saranno necessarie per portare avanti e finalizzare la ricostruzione dell'Ucraina.

Anche in considerazione degli esiti che, sul piano della ridefinizione dei confini, il conflitto ancora in essere andrà a determinare. Dicendolo forse diversamente: la mancanza di progressi importanti sul piano dei negoziati di pace e l’incertezza cagionata dalle questioni territoriali alla base del conflitto, quanto possono incidere sulla effettività del progetto di ricostruzione inteso come priorità strategica? L’interrogativo appare tutt’altro che peregrino. Soprattutto laddove si voglia considerare che il principio cosiddetto del “whole of society” di cui alla Dichiarazione di Lugano del 2022, presuppone che il processo di ricostruzione non solo venga guidato dalla stessa Ucraina, sempre con il contributo fattivo della Comunità Internazionale, ma anche che quello stesso processo si fondi su tutta una serie di valori democratici ampiamente condivisi in vista della piena attuazione delle riforme utili per portare a compimento il percorso di adesione del Paese all’Unione Europea. La ricostruzione presupporrebbe una condizione di stabilità che ad oggi non c’è, e probabilmente sarebbe al momento maggiormente utile favorire i negoziati di pace.

Giuseppina Di Salvatore – Avvocato, Nuoro

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