«Sono sarda-canadese», dice Maria Giovanna Filia, 61 anni, consultrice dei sardi del Quebec. E racconta: «Sono nata a Montreal da genitori sardi. Torno nell’Isola almeno una volta all’anno, anche di più, da quando avevo 2 mesi. Lo faccio tuttora, ho casa ad Alghero. Mio padre, che faceva il tecnico nell’industria petrolchimica, è arrivato in Canada nel 1951. Poi è rientrato in Sardegna, e lì ha conosciuto mia madre, che è arrivata in Canada dopo il matrimonio, a Bono nel 1960. Insieme hanno deciso di venire a vivere a Montreal. Rientravamo in Sardegna ogni estate per le vacanze e poi nel 1971 i miei genitori hanno provato a ritornare definitivamente in Sardegna. Abbiamo vissuto a Sassari per 4 anni, ma alla fine siamo rientrati in Canada con la nave Michelangelo da New York. Avevo 10 anni; li ho compiuti a bordo. Mio padre ha deciso che era meglio lasciare l’Isola per il nostro futuro, il mio e quello delle mie due sorelle. Credo sia stato molto lungimirante.

Faccio il dirigente sanitario nel più grande centro universitario di Montreal (ci lavorano 25mila persone). Ho preso una prima laurea all’Università McGill in un ramo clinico-scientifico e poi un Master in Business administration alla HÉC di Montreal.

Se fossi rimasta in Sardegna avrei avuto le stesse opportunità che ho incontrato qui? Non lo so con sicurezza ma credo di no. Qui è molto più facile accedere a posti di lavoro che valorizzano le tue competenze e perché te lo meriti veramente. Io sono nata qui, quindi forse per me è un po’ diverso. Ma conosco molti sardi che sono qui da meno di 10 anni, integrati perfettamente, che possono già insegnare all’università o fare lavori interessanti nel loro ramo. Molti hanno fatto o stanno facendo il PhD e fanno ricerca, insegnano, sono diventati medici, ingegneri.

Credo che il Canada offra molte opportunità a chi vuole farsi valere. Si lavora molto ma c’è la possibilità di ottenere grandi soddisfazioni professionali. Se sei bravo ti scelgono, questo è sicuro. Non dico che sia facilissimo, devi anche saper parlare e scrivere le due lingue ufficiali. Però un lavoro lo trovi di sicuro, forse non esattamente quello che vuoi all’inizio, ma qui un posto non devi tenertelo per tutta la vita. Ti serve da trampolino per iniziare, per acquisire esperienza e aiutarti a integrarti.

L’emigrazione, dopo il fermo Covid è ripresa, credo sia un sintomo della realtà lavorativa e del mancato sviluppo della Sardegna. Da quello che vedo io, le istituzioni non creano opportunità di crescita e di lavoro, e frenano quelli che hanno voglia di creare e di fare. Non vedo un’attività di governo proattiva, costruttiva, produttiva di valore. E, dall’altra parte, c’è molta apatia e rassegnazione, che derivano dalla perdita della motivazione nelle persone che vorrebbero impegnarsi.

Non si investe adeguatamente per creare chance per il futuro dei giovani sardi e delle loro famiglie. La burocrazia domina in ogni settore, ostacola ogni progetto o iniziativa.

Finora hanno creato soltanto quello che noi qui chiamiamo delle “band-aid solutions”, soluzioni temporanee che danno l’illusione che si stia facendo qualcosa, come per esempio il programma Master and Back. Ti fanno studiare fuori e poi rientri e trovi il vuoto totale. Vogliono che i sardi all’estero rientrino in Sardegna. Ma per fare che cosa? Dovrebbero integrare meglio le scuole con le aziende, creare dei partenariati, puntando sull’innovazione, consultare molto di più i sardi che vivono all’estero e coinvolgerli nei progetti innovativi. La Sardegna valorizza poco i suoi giovani. Constato anche che non sono solo i cervelli che sono in fuga ma anche famiglie intere. Famiglie con figli piccoli anche adolescenti. Non sono neanche più emigrati economici. Vogliono che i loro figli imparino bene le lingue perché in Italia sono insegnate malissimo. Sono persone di tutti i settori e altamente qualificate che la Sardegna perde perché cercano impieghi all’altezza delle loro aspettative. Qui ce ne sono tantissimi. Tutte persone che ambivano a posizioni più elevate di quelle che avrebbero potuto trovare in Sardegna e vengono qui con l’intenzione di fermarsi. La vita qui è piu semplice. C’è più rispetto e cortesia. Siamo tutti considerati, c’è molto meno classismo, le mentalità sono molto più aperte e c’è anche una grave penuria di personale in tutti i settori».

La testimonianza di Maria Giovanna Filia si sposa con i dati Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), rielaborati da Il Sole 24 Ore: al 1° gennaio di quest’anno sono 128.350 i sardi iscritti, nel 2019 erano poco più di 121.500, ovvero, quasi settemila nuovi cittadini soprattutto in Germania, Francia, Belgio, Regno Unito, Svizzera, Argentina, Stati Uniti, Brasile, Canada, provenienti dall’Isola.

Ma i numeri dell’emigrazione reale sono molto più elevati, perché iscriversi all’Aire significa fare il cambio di residenza, un’operazione che di solito non si fa immediatamente appena si arriva in una terra straniera.

Il ministero dell’Interno ha evidenziato che emigrano dall’Italia soprattutto i giovani: ogni 100 residenti con meno di 30 anni ce ne sono 10,7 che hanno scelto di trasferirsi, e sono oltre 1,8 milioni gli iscritti under 30.

Ogni anno l’Italia perde l’1% del Pil per via dei cervelli in fuga, e brucia così miliardi di investimenti di capitale umano. Secondo uno studio di Brunello Rosa, docente della London School of Economics, citato dal Sole 24 ore, su 6 milioni di italiani che vivono all’estero un terzo rientra nella categoria dei lavoratori qualificati. Dunque, circa 2 milioni di persone che hanno studiato in Italia e hanno intrapreso una carriera fuori dal Paese. E se oggi circa il 28% dei giovani sopra i 25 anni ha una laurea, tra gli “expat” italiani la percentuale arriva al 33%.

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