C’è un tempo del vigneto e un tempo del vino. E poi ci sono i grandi calici, unici e irraggiungibili perché in loro si specchiano gli anni di appassionati vignaioli. Giampaolo Parpinello, 81 primavere, è un enologo come pochi. Ha intinto la penna nel respiro della vigna attraverso 60 vendemmie per raccontare il suo vino come un grande romanzo della terra, moderno e romantico. «Amo questi filari perché in loro c’è lo scorrere delle stagioni. Qui ritrovo una vita fatta di impegno, passione e quella forza che ogni tralcio allevato come una creatura sa trasmettere, foglia dopo foglia. Questa è la voce della vigna che ho imparato ad ascoltare». L’incipit, che riassume la poetica dei suoi vini, è la porta giusta per entrare con rispetto nella vita di un uomo e di un enologo mai stanco di cercare e raggiungere le altezze emozionali di un vino. Una storia, quella di Giampaolo Parpinello, che possiamo fare iniziare nel 1964. Un percorso di vita che fa capire quanto il vino appartenga a pieno titolo alla cultura spirituale più che a quella materiale dell’umanità, per dirla con Philippe Daverio. In questo, il popolare critico d’arte scomparso nel 2020 e appassionato studioso vitivinicolo, può essere d’aiuto quando ricorda che il vino è «conoscenza e comunicazione» perché stimola un cammino dell’emotività, un percorso sensoriale e in quanto tale un percorso del pensiero. Le 60 vendemmie sono questo: un fluire del tempo espresso nel vino, attraverso un codice genetico pensato e progettato dal suo designer. "Cagnulari sessantavendemmie", in edizione limitata, è nato per celebrare questo cammino e ha in sé il tempo del suo vignaiolo-enologo. Stagioni emozionali più che anagrafiche, dove ogni sorso riflette lo scorrere di ricordi, epoche, immagini. Richiama paesaggi e profumi, suoni e voci.

CORRISPONDENZE Quando Parpinello, originario della cittadina trevigiana di Oderzo, arriva in Sardegna ha 21 anni e in tasca un prestigioso titolo di studio conseguito alla Scuola enologica di Conegliano Veneto. Insieme a lui c’è la moglie Luigina Pozzebon, radici venete come il marito e genitori che vivono ad Arborea. In quello stesso anno, 1964, Giampaolo segue la sua prima vendemmia in Sardegna, ma il rapporto con la vigna è già radicato da tempo. A tracciare il suo destino infatti sono gli insegnamenti del padre Luigi che agli inizi degli anni ‘50 lo portava con sé nei vigneti di famiglia. In Sardegna dunque si avvia quel grande progetto che ancora oggi continua. Nel 1965 lavora come enologo nella Cantina del Vermentino di Monti e poi, da gennaio 1970, è a Santa Maria La Palma, Alghero, dove dirige la Cantina sociale. Ci resterà per oltre 30 anni.

Giampaolo Parpinello al lavoro nella vigna di proprietà (foto concessa)
Giampaolo Parpinello al lavoro nella vigna di proprietà (foto concessa)
Giampaolo Parpinello al lavoro nella vigna di proprietà (foto concessa)

LO STILE Da grande progettista enoico e sapiente artigiano, parafrasando Daverio, Parpinello è stato il designer dell’Aragosta, quel Vermentino che ha fatto da apripista ai vini freschi e leggeri, protagonista nell’Isola degli anni Settanta, in pieno boom turistico. «Fu un caso nazionale nel mondo del vino quando in un anno arrivammo a produrre un milione e 700 mila bottiglie, tutte con l’etichetta Aragosta», ricorda lo stesso Parpinello nel corso di un’intervista rilasciata a Lucio Salis, giornalista de L’Unione Sarda. In quegli anni Parpinello incontra Billia Cherchi di Usini. Due visionari con i piedi ben ancorati a terra: a questo sodalizio si deve la nascita e il successo del Tuvaoes. Lavora a lungo raggiungendo grandi risultati sul Vermentino tanto che stringe rapporti con l'azienda Capichera della famiglia Ragnedda. Ma c'è un rosso che lo affascina profondamente più di altri, è il Cagnulari. Un vitigno simbolo di questi 60 anni. Parpinello e il compianto Billia sono i primi a crederci e a imbottigliarlo in purezza. L'enologo trevigiano capisce subito la grande potenzialità che il vitigno poteva esprimere. «Il mio legame con il Cagnulari è sempre stato di tipo emozionale», ha dichiarato Parpinello all’Ansa. «Un vino che può esprimere carattere e morbidezza se vendemmiato a un tempo giusto e lavorato con maestria, in purezza, in cantina». Tra le varie consulenze di questi anni ci sono la Cantina della Malvasia di Bosa a Flussio, Cantina Sociale Bonnanaro e a Badesi. Nel 2000 l’enologo dall'inconfondibile cadenza veneta è consacrato “Benemerito della viticoltura ed enologia italiana” premio Cangrande della Scala, conferitogli al Vinitaly di Verona. Un riconoscimento ai successi professionali, certo. Ma non solo. È soprattutto la consapevolezza che le sue intuizioni, vendemmia dopo vendemmia, hanno alimentato l'alba di una nuova enologia isolana fatta di unicità e di stile. Gli anni Novanta segnano la nascita della Poderi Parpinello, un sogno che inizia a concretizzarsi con l’acquisto dei primi ettari di vigneto nella zona del Lago di Baratz (Alghero) in quello che diventerà il Podere San Costantino. La famiglia ci crede e prende l’avvio anche il progetto di Janna de Mare, con l’acquisto dei primi 20 ettari tra Alghero e Sassari. Nel 2000 la svolta: Giampaolo va in pensione, decide di fondare un’azienda vitivinicola di famiglia. In questo progetto è sostenuto dalla famiglia. Oggi, la Poderi Parpinello conta 30 ettari vitati, distribuiti in due diverse località: 15 ettari si trovano a pochi passi dalla costa presso il lago di Baratz, poco a nord di Alghero e altri 15 a metà strada fra Alghero e Sassari, in località Janna de Mare, dove ha sede la cantina di produzione. Questa localizzazione implica importanti differenze ambientali (clima, geologia, ecc.) che regalano ai vini dell’azienda freschezza, sapidità e un ricco corredo di mineralità. Il 70% delle uve è dato da Vermentino e Torbato. Il restante 30% è suddiviso tra Cannonau, Cagnulari e Monica.

Giampaolo Parpinello con i figli Laura, Giuseppina e Paolo (Archivio)
Giampaolo Parpinello con i figli Laura, Giuseppina e Paolo (Archivio)
Giampaolo Parpinello con i figli Laura, Giuseppina e Paolo (Archivio)

LE GEMME Ma il destino non smette di riannodare fili, imbastire tessiture e nuove storie. Come quella che lega la famiglia Parpinello al Torbato. Nel 2006 Giampaolo ha modo di assaggiare del vino Torbato prodotto da un amico, ne resta entusiasta. Con lui sceglie 100 gemme di questo vitigno e procede all’innesto. Un piccolo allevamento di Torbato che dà origine alle prime “cento viti”. Negli anni seguenti se ne aggiungeranno altre, e nel 2011 le piante sono ormai 50mila. Iniziano così le prime vinificazioni e i test sulla qualità. Nel 2016 nasce ufficialmente il Centogemme Alghero DOC Torbato della Poderi Parpinello. Oggi quel sogno iniziato nel 1990 ma a lungo accarezzato negli anni giovanili è divenuto una brillante impresa: la Poderi Parpinello, una cantina all’avanguardia in fatto di tecnologie, e una mirabile coralità di passioni e professionalità che rivela la formula vincente di queste produzioni. Sono passati 60 anni da quel lontano 1964. Il Cagnulari “Sessantavendemmie” è l’espressione di uno straordinario vitigno e di una mirabile storia.

Lo scorrere del tempo enoico dunque non è solo una questione di etichetta o di calendari, di dati e di sentori. È soprattutto presenza, proprio come quel codice genetico identificativo. Non una quantità e neppure un conteggio matematico. O almeno non solo. È qualcosa di più profondo, è il riflesso di una vita individuale e familiare che si intreccia con una storia più ampia, dal respiro di un territorio, di una regione e di un Paese. «Il vino non è un sapere da oggettivare, ma un incontro da realizzare», spiega Nicola Perullo, docente di Estetica e Pro Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in “Epistenologia, il vino e la creatività del tatto” (Mimesis 2016). «Non si tratta di acquisire dati, ma di creare immagini e traiettorie. Amo il vino perché mi regala il continuo stupore dell’innesco di relazioni possibili – aggiunge –  una vastità di immagini che dispiego e nelle quali trovo e produco continue corrispondenze». Dunque cambia la prospettiva. Un vino è grande quando in lui si intrecciano gli anni, affiorano i ricordi, partono nuovi percorsi e si innescano rimandi a persone, luoghi, gusti. La sua irraggiungibile altezza non sta tanto nell’eccellenza conclamata ma nella sua unicità radiante. L’eccellenza di un vino può essere ripetuta, copiata e replicata, l’unicità invece è qualcosa di raro, non ha imitazioni ma ha con sé la sacralità di un’esistenza. Un grande vino è una storia. Quella commuovente di un appassionato enologo oggi 81enne.

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