Manca poco ormai al primo aprile, data di fine emergenza. Il 31 marzo, infatti, scadrà il decreto del Governo che ha prorogato fino a quella data il sistema emergenziale per far fronte alla pandemia e che ha permesso anche di ammorbidire le regole sul fronte del lavoro agile e dello smart working. Dal primo aprile, dunque, sarà possibile capire se il lavoro agile o ibrido (diviso tra casa e ufficio) o flessibile, a seconda di come lo si vuole chiamare, sarà un punto di non ritorno. Certamente la pandemia ha cambiato le nostre abitudini e sia la pubblica amministrazione che molte imprese private si sono rese conto che il mondo può girare anche senza una postazione fisica collocata nel centro di una grande città, ad esempio.

L’indagine

Secondo uno studio dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, presieduto dal docente universitario Sebastiano Fadda (con trascorsi anche nell’ateneo di Sassari), nello scorso anno circa 7,2 milioni di lavoratori hanno operato da remoto a causa dell’emergenza pandemica. Secondo l’indagine dell’Inapp il 46% vorrebbe continuare a lavorare in modalità agile almeno una volta alla settimana, mentre uno su quattro lo farebbe anche per tre o più giorni. Sia tra i privati che nel pubblico il ricorso al lavoro ibrido, in parte in ufficio e in parte da casa, è stato costante per tutto il 2021. E in entrambi i casi sono state avviate piattaforme digitali per agevolare le attività dei dipendenti.

Più di un lavoratore su due esprime un giudizio favorevole sul lavoro da remoto, anche se vengono segnalate criticità che riguardano l’isolamento, i rapporti con i colleghi e l’aumento dei costi per le utenze. È però positiva l’opinione sulla possibilità di organizzare meglio la vita conciliando lavoro e attività casalinghe. Quello che certamente rileva l’Inapp è che il lavoro agile, secondo l’indagine, favorirebbe lo spostamento delle persone verso i piccoli centri. Una scelta che verrebbe fatta almeno da una persona su tre se il lavoro agile entrasse a regime, intervenendo così sul problema spopolamento in molti comuni e aree del Paese.

Le regole

Per arrivare, tuttavia, a implementare l’utilizzo di lavoro agile o ibrido servono regole chiare. “Le modalità di svolgimento variano a seconda delle aziende di diversa dimensione, del settore e dell’intensità tecnologica – ha dichiarato il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda – non ci possono essere modalità o percentuali fisse a priori. Serve però un quadro di regole base e poi flessibilità per definire con la contrattazione le modalità che meglio garantiscono la produttività delle aziende e il benessere dei lavoratori”.

Anche i sindacati invocano un quadro normativo chiaro, magari con una contrattazione di primo livello che delinei un perimetro generale all’interno del quale poi attivare i singoli accordi individuali. Non solo. I sistemi devono essere agili, così come il lavoro. Tanto che gli stessi sindacati propongono attraverso il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra di prorogare la possibilità per i datori di lavoro privati “di comunicare al ministero del Lavoro in via telematica i nominativi dei lavoratori coinvoli e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile”.

Aziende e professionisti

Molte imprese nel nostro Paese hanno già raggiunto accordi per continuare ad applicare il lavoro agile. E questo vale anche per gli studi professionali, dai commercialisti agli avvocati. La nuova frontiera è l’integrazione tra presenza e smart working. Così come accade già in Generali, Eni, Atlantia, per citare alcune delle aziende dove ogni settimana i lavoratori trascorrono fino a tre giorni a casa, con ampia flessibilità e fasce di disconnessione che garantiscono ad esempio la pausa pranzo o altre necessità del dipendente. Si tratta solo dunque di implementare le buone pratiche per rendere tutto più semplice e snellire le procedure, a iniziare da quelle burocratiche.

La comunicazione

La pandemia, tuttavia, ha fornito anche un’altra indicazione al mondo del lavoro e in particolare alle grandi aziende. Non basta agevolare i lavoratori sul fronte operativo con il lavoro agile, ma serve anche aumentare la comunicazione in azienda, soprattutto quando si tratta di colmare distanze fisiche. Sono numerose infatti le imprese che hanno avviato un vero e proprio cambiamento culturale, con progetti che coinvolgano i dipendenti nella comunicazione interna e nella motivazione. Gli obiettivi sono molteplici ma soprattutto si concentrano sulla pervasività, per non escludere nessuno dai progetti e dagli obiettivi, e sulla continuità con appuntamenti costanti che permettano la comunicazione tra manager, quadri e dipendenti. La Lamborghini, ad esempio, ha scelto di raggiungere questo obiettivo con una App, dal nome significativo: WeLambo. Edison, società energetica tra le più antiche d’Europa, ha deciso di utilizzare una piattaforma in cui i giovani ingegneri vengono costantemente monitorati e seguiti dai più anziani. Il risultato è stato la promozione di poco meno di una decina a compiti e ruoli più importanti.

Sono soltanto due esempi che descrivono uno dei pochi effetti positivi della pandemia sul fronte del lavoro: posizionare gli uomini, le risorse umane, al centro delle aziende e dei loro progetti. I sistemi informatici aiutano, la soddisfazione dei lavoratori che finisce per trasformarsi in maggiore produttività fa il resto.

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