Questa è la storia di una donna speciale, imprenditrice, stilista, educatrice, benefattrice.

Si chiamava Francesca Sanna Sulis, e tutti la conoscono come “la signora della seta”.

Nacque a Muravera nel 1716, un periodo in cui alle donne, soprattutto a quelle di elevato stato sociale, era riservato un destino di mogli, madri e chiacchiere nei salotti.

Dicono che assomigliavo a mia madre – racconta lei in prima persona in una sua biografia – ero di alta statura, capelli chiari, grandi occhi castani, e carnagione olivastra. L’inquietudine e la determinazione invece… quei tratti del carattere erano decisamente della mia famiglia paterna».

A 19 anni si sposò con don Pietro Sanna Lecca, avvocato del foro di Cagliari, e da qui la sua esistenza fu tracciata. Studiò, si informò, chiese la collaborazione del marito, e grazie a una legge agraria che agevolava la coltivazione del gelso, creò a Quartucciu grandi piantagioni che diedero vita ai bachi da seta, il core business di un’impresa tessile che divenne tra le più importanti e famose d’Europa.

Grazie al clima mite della Sardegna, i suoi bachi si schiudevano tra il 20 e il 25 marzo, e questo le consentiva di far arrivare la sua seta sul mercato in anticipo rispetto ai concorrenti. Poi, la qualità, la bellezza, l’eleganza delle sue produzioni, fecero il resto.

Di lei hanno scritto in tanti, Lucio Spiga, Cristina Muntoni, Anna Maria Messuti, di recente Ada Lai.

Le sue creazioni hanno vestito anche regine e principesse, Caterina seconda di Russia indossa un suo meraviglioso abito in un famoso dipinto esposto all’Ermitage.

Ma Francesca Sanna Sulis non è stata soltanto una manager illuminata, è stata una persona di ampie vedute e sempre all’avanguardia. Ha dato lavoro a centinaia di operai, in prevalenza donne, insegnandogli il mestiere con corsi di formazione. Per loro ha introdotto un’importante innovazione per l’epoca, consentendo alle lavoratrici di operare da casa e anticipando così lo smart working di due secoli. Come dono di nozze, infatti, le donne ricevevano un telaio, per poter continuare a lavorare da casa per sostenere la famiglia. Inoltre realizzò il “nido aziendale” dando la possibilità alle madri lavoratrici di affidare i bambini alle suore durante l’orario di lavoro. Ancora, ha garantito il diritto all’istruzione ai figli dei dipendenti.

A 92 anni, era il 1808, scrisse il suo testamento, e poiché i suoi due figli maschi erano morti, e la figlia femmina si era fatta monaca, lasciò i suoi averi alle donne senza marito, all’ospedale di Cagliari per garantire assistenza e cure ai derelitti, istituì premi per i meno abbienti e donò denari per acquistare vestiti per i bambini poveri che non frequentavano la scuola proprio perché non avevano abiti adeguati. Inoltre destinò la rendita annuale di una vigna alla festa di Sant’Efisio e con 300 scudi diede disposizioni per la liberazione dei cristiani ridotti in schiavitù.

Donna Francesca morì nel 1810, e le sue ultime volontà dicono: «In primo luogo ordino e comando che si dia sepoltura al mio cadavere nel modo più semplice e senza pompa alcuna...».

in breve tempo i campi di gelso furono trasformati in frutteti e l’impresa tessile si sgretolò. Dice Lucio Spiga: «Quello che fu creato da una dona grandiosa, andò disperso da una manciata di uomini».

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