Il centro di Oristano accoglie un pezzo di storia giudicale, che vive ancora oggi grazie alle monache di clausura di Santa Chiara. Il complesso monastico rappresenta un gioiello dell'architettura e della storia giudicale. Oggi sono sette le suore che vivono nel monastero, con suor Chiara abbadessa, e suor Caterina instancabile, che si occupa delle relazioni con il mondo esterno. La comunità claustrale, infatti, ha adottato alcune abitudini della vita attuale e comunica con amici, parenti e benefattori attraverso i canali più moderni. Le suore hanno, da tempo, un sito dove si possono acquisire tutte le informazioni. Comprese quelle sulla storia del monastero. Un documento racconta la rifondazione del monastero: 22 settembre 1343. La si rileva dalla lettera apostolica inviata dal papa Clemente VI al giudice Pietro III: Due anni dopo (30 giugno 1345) Pietro III, per la sua magnanimità e speciale "devozione a s. Chiara", ottiene dal papa il permesso di accedere al monastero, e con lui la madre, la sorella Maria e altre persone.

Il monastero già nel 1345 risulta abitato da tredici suore provenienti in parte da Pisa.

Il giudice Pietro III, che ridonò vita a questo monastero, morì tra aprile-giugno 1347 e sua moglie donna Costanza, figlia di Filippo Aleramici marchese di Saluzzo, vi si ritirò trascorrendovi gli ultimi mesi di vita.

Una lapide ritrovata nel secolo scorso, con epigrafe funeraria in caratteri gotici ci ha lasciato la data della sua morte e il luogo di sepoltura: Qui riposa l'egregia donna Costanza dei Saluzzo già giudicessa di Arborea, che morì il giorno 18 febbraio dell'anno del Signore 1348.

Di donna Costanza di Saluzzo resta pure la pergamena del suo contratto matrimoniale con Pietro III (1339 Il giudice Mariano IV completò la costruzione del monastero. Già l'anno prima che divenisse giudice di Arborea, il 30 giugno 1347 a sua moglie Timbora papa Clemente VI aveva concesso di poter visitare qualunque monastero femminile una volta l'anno. Il 30 luglio 1356, invece, Innocenzo VI concede a Timbora il privilegio di entrare nel monastero di S. Chiara in Oristano sette volte l'anno con le figlie, tra le quali c'era la futura giudicessa Eleonora d'Arborea.

La fine del giudicato e la sua trasformazione in marchesato creò certamente sofferenza alle suore, ma non cessarono le premure dei marchesi, eredi e successori dei giudici, verso il monastero e la chiesa.

È del 10 febbraio 1428 la consacrazione della chiesa e dell'altare maggiore, di cui si conserva la pergamena recentemente ritrovata, che riporta i seguenti nomi e personaggi. Tramontato il marchesato di Oristano nel 1478 e subentrata l'amministrazione dei Reali di Spagna, con la città divenuta proprietà regia il monastero comincia a essere chiamato reale/regio. Nei documenti del monastero tale qualifica appare la prima volta nel 1577. Real monastero: un appellativo prestigioso soltanto in apparenza, a sottolineare che Santa Chiara era la chiesa ahont sa Regia Magestad te Capella Real sols en este Regne (dove sua Real Maestà tiene unicamente regia cappella in questo regno). Le premure regie però furono sempre scarne e le monache non ebbero mai un concreto aiuto.

Mentre però poco o nulla sappiamo dei suoi interventi, più documentati e numerosi presso il Parlamento sono quelli dei Sindaci di Oristano per ricordare gli impegni presi e mantenuti dal giudice Mariano IV e dai successori sino al marchese don Leonardo Alagon circa la "provvisione giornaliera per tredici suore". Provvidenzialmente all'insensibilità dei governanti ha fatto sempre generoso riscontro quella degli oristanesi e degli abitanti del circondario con donazioni alla chiesa e al monastero.

L'invasione che Oristano subisce dal 22 al 26 febbraio 1637 ad opera dei soldati francesi (is sodraus grogus) costringe alla fuga anche le suore del monastero, alcune delle quali si rifugiano a Villaurbana, altre a Laconi dai familiari fino alla cessazione del pericolo. Al rientro trovano, come altre famiglie della città, la chiesa e il monastero profanati, arredi e paramenti asportati, tutti gli ambienti rovistati e suppellettili mancanti o distrutte. Ma non è tutta opera degli invasori francesi. Infatti uno storico del tempo, Giorgio Aleo, riferisce che il saccheggio perpetrato dai francesi dopo viene completato dai "miliziani" sardi venuti ad Oristano da 'liberatori'. Una tradizione orale del monastero parla anche di un sacrista infedele al quale le suore hanno affidato le chiavi del monastero e la custodia di un alto numero di scudi d'oro occultati prima di fuggire, scudi che non vengono più ritrovati.

Tra le notizie riportate da un registro del monastero [Cabreo] risulta la donazione alla chiesa di Santa Chiara di un grande retablo, fatto dipingere dal ricchissimo notaio oristanese Felice Contu, una nipote del quale era monaca. Ma di tale icona non resta ulteriore notizia. Il nome assunto da religioso però è spia per capire che si tratti del retablo di cui rimane il tabernacolo con ai lati, in altorilievo, gli apostoli Pietro e Paolo, del secolo XVII, collocato in un retablo del sec. XVII, di cui restano - parte in monastero e parte i collezione privata - scolpiti in altorilievo i medesimi apostoli Pietro e Paolo, due aquile e due cariatidi.

Oggi le monache si aprono alla città attraverso diverse iniziative, una di queste partita proprio lo scorso luglio: ogni venerdì si possono ammirare diversi ambienti del monastero attraverso una visita guidata da suor Caterina.
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