Compie quasi 100 anni il lago Omodeo. Un secolo che ha cambiato la storia di questo cuore di Sardegna sommerso dall’acqua nel 1924 quando venne completato l’invaso e inaugurata la diga di Santa Chiara. Nuovi panorami, nuove speranze di sviluppo e lavoro. Anche la terra ha iniziato ad adattarsi ai microclimi sino a quel momento sconosciuti. Quello che il grande bacino non è riuscito ad alterare è il profondo legame che unisce le famiglie contadine di questo lembo di Sardegna alla propria tradizione. Nei versanti di Nughedu Santa Vittoria come anche sul profilo opposto di Sedilo, i vignaioli conoscono bene il carattere di quell’enorme distesa d’acqua.

Nughedu Santa Vittoria, foto Tomaso Ledda
Nughedu Santa Vittoria, foto Tomaso Ledda
Nughedu Santa Vittoria, foto Tomaso Ledda

NUGHEDU SANTA VITTORIA Quattro amici e una grande passione: la vigna. Giovanni Antonio Dessì ha 35 anni, Francesco Spiga, 38, Marco Mura, 36, e Giorgio Flore, enologo di 60 anni, originario di Atzara, terra del Mandrolisai. Insieme hanno creato Agricola Niuge, un’azienda giovane ma con le idee molto chiare: lottare per salvare la storia e l’economia di un paese a forte rischio estinzione. «Niuge – raccontano i quattro soci – non è solo il vino, è un sistema di accoglienza. È un invito a venire nella nostra comunità». Ospitalità e sviluppo, una missione che si affianca a Nughedu Welcome, progetto innovativo ideato da Nabui, la società di ricerca e sperimentazione che si occupa di interventi ad alto impatto sociale nei territori fragili (protagonisti Roberta Falcone e Tomaso Ledda), in collaborazione con il Comune. Nughedu Santa Vittoria è il borgo della genuinità e del rispetto antico, ddve il silenzioso dialogo tra generazioni è sempre molto forte. «Mio nonno ha lavorato questi vigneti da sempre», racconta Giovanni Antonio Dessì. «Ci portava spesso in vigna, per noi ragazzini ogni volta era una festa. La vigna si lavorava in modo tradizionale. Tra le viti si entrava con l’asinello e l’aratro. Ieri come oggi».

Nughedu Santa Vittoria, il vigneto di Agricola Niuge. Foto Tomaso Ledda
Nughedu Santa Vittoria, il vigneto di Agricola Niuge. Foto Tomaso Ledda
Nughedu Santa Vittoria, il vigneto di Agricola Niuge. Foto Tomaso Ledda

La vigna è quella che si trova poco sopra l’antico novenario di San Basilio, dove in passato sorgeva un monastero benedettino, una delle tante chiese campestri tardo medievali con i loro muristenes e cumbessias che oggi si affacciano sull’Omodeo. L’azienda Niuge nasce nel 2017 e dopo due anni c’è il primo imbottigliamento. Non più di 3 ettari in tutto. Sul versante del lago c’è il vigneto secolare, quota 400 metri circa sul livello del mare. Il resto delle vigne si trova nella parte più alta, circa 650 metri, nella valle del Monte Santa Vittoria. Basse rese e intensità di impianto altissima per vini di alta qualità, tipici di questo lembo di Sardegna. Si alleva Muristellu, Cannonau, Monica e Niedda manna. Per i bianchi, Nuragus soprattutto. Suolo, esposizioni al sole e microclimi sempre ventilati con ampie escursioni termiche date dalla presenza dell’Omodeo segnano un profilo organolettico straordinario e molto particolare. Vini storici, di struttura che raccontano la storia di intere generazioni.

Sedilo, Domu Battistina. Marco Guido Poddi nell'azienda che guarda l'Omodeo. Foto R. R.
Sedilo, Domu Battistina. Marco Guido Poddi nell'azienda che guarda l'Omodeo. Foto R. R.
Sedilo, Domu Battistina. Marco Guido Poddi nell'azienda che guarda l'Omodeo. Foto R. R.

SEDILO Dalla vigna che sovrasta il monastero di San Basilio, guardando al di là del lago appare in lontananza il santuario di San Costantino. In questa vallata altri due giovani, due fratelli, Marco Guido e Diego Poddi-Mongili, rispettivamente 30 e 35 anni, hanno raccolto la sfida. Dai loro nonni materni Battistina e Salvatore, e dai loro genitori Maria Mongili di Sedilo e Mario Poddi originario di Cabras, hanno ereditato un insegnamento di vita: la natura ha tutto il necessario. All’uomo il compito di assisterla. Anche Iole, la possente cavalla agricola arrivata dal Piemonte, fa parte di questo sistema bionaturale. Al lavoro dall’alba al tramonto, in una sintonia esemplare con i tempi della terra per raccogliere i tesori sedimentate nelle viti.

Marco Guido e Diego, circa otto anni fa, hanno iniziato la loro coraggiosa scommessa vitivinicola. «Due ettari circa di vigneto impiantato in un terreno di nostro nonno utilizzato fino ad allora a pascolo con qualche pianta di frutta», raccontano. Nel 2014 la scelta di fare gli agricoltori, allevare viti e produrre vino. Dopo la triste pagina degli espianti che ha decimato le vigne sarde, oggi grazie ai giovani è vivo il desiderio di ricostruire quel patrimonio non solo agricolo ma colturale. Si torna alla terra, proprio come ha fatto Diego, dopo 5 anni a Milano non ha resistito al richiamo dell’Isola. Della terra. «Questi sono suoli in massima parte argillosi e calcari di medio impasto ». Un suolo che non regala nulla alla vite ma trasferisce solo quanto serve per produrre vini di struttura e dai profumi eleganti. E anche l’acqua deve rispettare il flusso delle stagioni.  «Il vino è materia vivente. Ha un suo profilo e un suo carattere regolato dai ritmi della natura. Non può essere omologato. Ogni stagione ha qualità diverse». Isei il vino bianco prodotto da uve Vermentino prende il nome dalla collina che sovrasta il colle del santuario dedicato al santo imperatore. Thalasai invece viene prodotto da uva Cannonau, Cagnulari e Carignano. Il vino rosso è dedicato al nuraghe della principessa triste, come ricorda una antica leggenda. «Il nostro vino affina in anfora. Preferiamo l’argilla al legno. C’è una migliore micro-ossigenazione e il vino è più naturale». Niente meccanizzazione, c’è Iole. Nessun trattamento chimico. Nessun concime industriale, anche per quello c’è Iole. «Oggi per fortuna molti giovani hanno un’attenzione all’ambiente diversa rispetto al passato», aggiunge Marco Guido. «Noi siamo coerenti con la nostra filosofia di agricoltura». In cantina arriva solo ciò che è espressione del territorio. Infatti il vino nasce da una fermentazione spontanea solo con i lieviti dell’uva. Nessun’aggiunta. Frollatura e rimontaggio si fa a mano, non si filtra e non si chiarifica. Così la vinificazione dei bianchi: avviene con una lunga macerazione sulle bucce, come si faceva un tempo per avere quelli che oggi gli americani chiamano inopinatamente orange wines. Con una profonda differenza: nella valle del santuario ieri come oggi è solo la luna calante a dettare i tempi. Non le mode.

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