Un fallimento così fragoroso come la seconda esclusione consecutiva dal Mondiale si deve a molte concause. La più facile: se Jorginho avesse trasformato il rigore con la Svizzera quella notte dello scorso novembre a Roma...sicuramente si sarebbe scritta un’altra storia. Peggio di questa delusione, però, ce n’è un’altra: la scelta della Federazione di non mettere in discussione se stessa né il ct Mancini, anzi di “proteggerlo” come un buon padre di famiglia farebbe con un figlio che commette un semplice errore. Eppure il ceffone ricevuto dalla Macedonia del Nord è stato violentissimo mentre la reazione del sistema azzurro stranamente imperturbabile. Lo dicono tutti: l’Italia che per la seconda volta di fila non si qualifica per la fase finale dei campionati del mondo di calcio non è solo una delusione, è la madre di tutte le delusioni sportive. Ma nonostante questo non paga nessuno, e nessuno neanche guarda il conto sul tavolo. Il presidente federale Gabriele Gravina non si è dimesso. Anzi: dopo la sconfitta con la Macedonia del Nord si è presentato davanti ai giornalisti per dire che “tanti giovani non hanno la possibilità di essere utilizzati nei nostri campionati, c'è un gap rispetto ad altri. Solo il 30% degli italiani giocano in Primavera, è una responsabilità nostra”. E se ne accorge soltanto adesso? E poi c’è il ct Roberto Mancini: resterà anche lui. Ma perché? In un mondo “normale” dopo un fallimento si rinnovano i vertici e si costruisce un nuovo progetto. Invece nel calcio nazional-popolare non paga nessuno. E se la sciagurata eliminazione del 2017 contro la Svezia era stata salutata come un’Apocalisse, questa qui è già stata derubricata a nuvoletta passeggera. Nessuno pretendeva crocifissioni, ma stavolta è mancato anche il minimo atto di sensibilità istituzionale, da parte del ct che si limita a dire “mi dispiace” e del capo della Figc che invece si limita a promettere di ripartire con un nuovo ciclo (ancora con Mancini alla guida, però).

Questa rapida archiviazione si spiega solo in parte con il credito dell'Europeo vinto. Sul piano tecnico, Mancini rimane in fondo uno dei cinque ct ad aver vinto qualcosa in azzurro. Ma questo può bastare perché continui a restare commissario tecnico? Neanche l’ingaggio da 2 milioni di euro netti a stagione sembrano un motivo valido. Non in un mondo come quello del calcio. Le alternative, poi, cioè i pochi nomi circolati per un eventuale “post” più che incoraggiare (forse) hanno spaventato: dovendo considerare un’utopia Carlo Ancelotti (oggi sulla panchina del Real Madrid), il nome più insistente è stato quello di Fabio Cannavaro. E vabbè. Meglio Mancini, dirà qualcuno.  

Alla fine, però, questo lassismo da parte di Mancini produce un effetto: fa sembrare persino meno antipatico l’antipaticissimo Giampiero Ventura. Quattro anni e mezzo fa, dopo la sconfitta con la Svezia che decretò la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali di Russia 2018, l’ex ct arrivo da solo, senza nessuno della Figc accanto, davanti ai giornalisti a dire: “Chiedo scusa agli italiani, ma non mi dimetto”, spiegando poi che quella scelta era legata al fatto di “non aver ancora parlato con il presidente Tavecchio” ma facendo comunque intendere che le dimissioni sarebbero state annunciate di lì a pochi giorni perché “quando non si ottiene il risultato è evidente che il responsabile è l’allenatore”. E così è finita l’era Ventura: tutta l’Italia lo ha condannato per non aver portato la Nazionale ai mondiali e lui, alla fine, da uomo che evidentemente rispetta anche le regole non scritte, dopo il fallimento, se n’è andato. E con lui anche l’ex presidente Tavecchio. Ora Ventura dice che “quattro anni fa ho subito una lapidazione. Sono diventato l’uomo nero, quello che non si è dimesso dopo la sconfitta con la Svezia perché voleva rubare uno stipendio”. Oggi, invece, tutti si affrettano a parlare anche di altre responsabilità, un modo per difendere l’allenatore. Quattro anni fa, per tutti, è stata solo colpa di allenatore e federazione, e tutti si sono fatti da parte. Oggi invece è chiaro a tutti che la colpa è del sistema. E tutti sono ancora lì, ai posti di comando.

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