Joseph Mercola, Robert F. Kennedy Jr., Ty and Charlene Bollinger, Sherri Tenpenny, Rizza Islam, Rashid Buttar, Erin Elizabeth, Sayer Ji, Kelly Brogan, Christiane Northrup, Ben Tapper, Kevin Jenkins.

Probabilmente questi nomi vi dicono poco o niente, negli Stati Uniti li chiamano i “Disinformation Dozen”, una “sporca dozzina”, ovvero i dodici responsabili di circa i due terzi dei contenuti anti-vax che circolano sui social. Sono stati individuati e sono tenuti sotto stretto controllo perché hanno un gran numero di follower, producono un’enorme quantità di roba e negli ultimi mesi hanno visto una rapida crescita dei loro account. Da un’analisi di un campione di affermazioni contro i vaccini condiviso su Facebook e Twitter oltre 800mila volte solo tra il 1° febbraio e il 16 marzo di quest’anno, il 65% è opera loro. E purtroppo soltanto una minima parte di questa produzione è stata completamente rimossa dalle piattaforme.

Tutto questo è il frutto di un rapporto intitolato Malgorithm, curato dal CCDH, Center for Countering Digital Hate, una ong senza scopo di lucro che ha l’obiettivo di interrompere la catena dell’odio e della disinformazione online.

Secondo questo studio, che ha monitorato 425 account anti-vax, i follower sono in crescita continua, sono circa 60 milioni di persone, in crescita di 877mila unità in pochi mesi.

Sottolinea il CCDH che i vari social dovrebbero “stabilire chiare e nette azioni di contrasto, e agli utenti dovrebbero essere presentate schermate di avviso quando tentano di collegarsi a siti noti per il loro negazionismo e per la diffusione di informazioni errate sui vaccini”. Cosa che non accade.

La tecnologia digitale – avvertono gli studiosi - ha cambiato per sempre il modo in cui comunichiamo, costruiamo relazioni, condividiamo la conoscenza, stabiliamo standard sociali e affermiamo i valori della nostra società. Ma molti spazi digitali sono stati colonizzati e sfruttati da movimenti che strumentalizzano astio, livore e fake news. Movimenti influenti, capaci di persuadere le persone  – proseguono i ricercatori americani – che sostengono parallelamente diverse “cause”, dall’antifemminismo al nazionalismo etnico, e che sono arrivati a inquinare anche il mondo off line.

Il lavoro del Centro unisce sia l'analisi sia le azioni volte all'interruzione di queste reti. “Siamo nel mezzo della più mortale crisi sanitaria della storia, il Covid-19 ha ucciso centinaia di migliaia di americani e ha minato il sostentamento di milioni di lavoratori e di famiglie americani. Il virus ha avuto un effetto particolarmente devastante sulle comunità di neri, latini e nativi americani, che hanno un accesso alle cure molto diverso rispetto a quello della popolazione bianca e sono rimasti indietro anche nella campagna vaccinale”. Lo scetticismo e la sfiducia nei confronti dei vaccini sono maggiori tra gli emarginati, e i rifiuti sono purtroppo alimentati soprattutto dalla disinformazione diffusa tramite i social media da un piccolo gruppo di individui che non hanno competenze mediche pertinenti, che abusano delle piattaforme per travisare la verità, amplificare teorie cospirazioniste, far girare bugie clamorose e gonfiare la minaccia sulla sicurezza dei vaccini.

“Secondo il nostro recente rapporto, gli attivisti anti-vaccini raggiungono più di 59 milioni di follower”, dice il ceo di CCDH Imran Ahmed, “e Facebook, YouTube, Instagram e Twitter finora non sono riusciti in modo efficace a far rispettare le politiche anti-disinformazione, a rimuovere rapidamente le dichiarazioni dannose e pericolose e cancellare gli account che violano ripetutamente i loro termini di servizio. Insomma, hanno fallito”.​​​​​​​

Manifestazione\u00A0contro l'obbligo vaccinale per i sanitari (foto Ansa)
Manifestazione\u00A0contro l'obbligo vaccinale per i sanitari (foto Ansa)
Manifestazione contro l'obbligo vaccinale per i sanitari (foto Ansa)
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