«Mio figlio ha dovuto decidere se vivere o morire».

È addolorato e vicino ai familiari di Cinzia Pinna Mario Ragnedda, padre dell’imprenditore reo confesso dell’omicidio, ma in qualche modo “assolve” il figlio, che ha sparato perché temeva per la propria vita.

Parla a “Vita in diretta”, su Rai1, davanti al carcere di Bancali dove è appena andato a visitare per la seconda volta il figlio, Mario Ragnedda. Emanuele sta bene ma «è molto addolorato, vorrebbe spiegare i motivi del suo gesto e lo ha fatto anche con me».

«Un padre resta un padre, mi sento ancora padre di Emanuele nonostante il male che ha causato, così come mi sento padre della povera Cinzia», premette Ragnedda, «ma devo cercare di arrivare a una verità che possa fare giustizia per tutti».

Ed eccola la verità di quella sera, secondo Mario Ragnedda: Emanuele, che è uomo «buono, generoso e altruista, non come viene dipinto», incontra Cinzia Pinna la sera dell’11 settembre. «Quella ragazza che aveva problemi, probabilmente aveva bevuto, gli ha chiesto un passaggio e lui si è offerto, ma poi ha capito che lei non aveva un alloggio per quella notte e quindi sono andati a Conca Entosa».

E lì, nella casa dell’imprenditore vitivinicolo, si è consumato il delitto: «Lui afferma, e io devo credergli, di essere stato aggredito, ha avuto paura per la propria vita – spiega Mario Ragnedda – e a un certo punto ha dovuto decidere se vivere o morire, ed è andata così». Come ha fatto ad avere paura di una donna esile e fragile come Cinzia? «Questo non posso dirlo, lo dovrà spiegare meglio Emanuele». 

«Sono vicino al dolore dei familiari di Cinzia Pinna e non voglio assolvere mio figlio, lui deve pagare la giusta pena, ma non è il mostro che viene descritto», prosegue Mario Ragnedda, che critica anche la moglie, Nicolina Giagheddu, che ieri ha rilasciato dichiarazioni pesanti contro Emanuele («Merita l’inferno»). «Non commento ciò che ha detto mia moglie, lei soffre molto, è addolorata ed è andata un po’ sopra le righe». Poi corregge il tiro: «Sono d’accordo con quasi tutto quello che ha detto, tranne su alcune cose».

Sulle feste a casa del figlio: «Sapevo che faceva feste con amici, ne aveva molti, pranzi e cene, ma non sapevo che usasse sostanze, non sapevo di questi eccessi».

Mario Ragnedda ha visto “un paio” di volte Emanuele nei giorni tra il delitto e la confessione: «Mi sembrava lo stesso di sempre, anche se col senno di poi non era molto sereno. A noi non ha detto nulla, non sapevamo niente. Abbiamo saputo solo quando ha confessato e ci è caduto il mondo addosso».

Sul motivo per cui Emanuele non si sia assunto subito le responsabilità: «Era nel panico, non vedeva vie d’uscita. Ma ha subito aperto la sua casa alle forze dell’ordine, e lì è iniziato il percorso che lo ha portato alla confessione».

Insomma, una «notte maledetta» che ha rovinato due famiglie, secondo Mario Ragnedda. «Vorrei che la verità venisse a galla, anche per Cinzia, e credo che quella che racconta mio figlio sia plausibile. Mi ha spiegato di essere stato aggredito e aver temuto per la propria vita e di aver dovuto decidersi se vivere o morire, e ha sparato. Si è trovato in una situazione in cui non sapeva cosa doveva fare e ha fatto la cosa sbagliata. Non voglio togliergli alcuna responsabilità, ma in questa settimana se ne è parlato come un mostro e lui non lo merita».

Poco prima l’uomo aveva parlato anche a “Ore 14” su Rai2: «Emanuele? Il suo primo pensiero va sempre alla povera Cinzia e al dolore della sua famiglia, me lo dice sempre. Per me è morta una figlia, oggi io ho una figlia morta e un figlio vivo in carcere, la sofferenza è doppia. Avrei preferito che fosse morto lui e parlare di un'altra storia, ma non è così», aveva detto.

(Unioneonline/L)

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