Iresidenti degli altri quartieri storici devono farsene una ragione: la vera cagliaritanità è di casa a Stampace. Non in Castello, in passato abitata dai dominatori (dai pisani ai Savoia, passando per gli spagnoli) e, dunque, aperta a influssi stranieri ma non "locali". Discorso simile vale per la Marina, la zona in cui abitava, come suggerisce il nome, la gente di mare. La zona del porto, quella che, dunque, aveva più rapporti con il resto del mondo ed era, per questa ragione, maggiormente "contaminata". Magari Villanova potrebbe contendere il titolo di "quartiere più cagliaritano" a Stampace. Ma, come dimostrano i riti della Settimana Santa, il rione ha risentito, nei secoli, delle influenze esterne (in particolare di quelle spagnole). Non soltanto: Villanova significa letteralmente nuova villa, nuovo paese. E, in effetti, chi, venendo dalle "bidde" (i paesi del circondario), tendeva a riproporre l'architettura che conosceva e si costruiva case che ricordavano quelle dei centri da cui arrivavano; non a caso, una delle strade del quartiere si chiama via Giardini, proprio perché era ricca di giardini di foggia "bidduncola".

Abitare a Stampace significava essere "casteddai" veraci. Un quartiere che era una città nella città. Basti pensare che gli attuali corso Vittorio Emanuele II e viale Trento (il lunghissimo rettilineo che collega il largo Carlo Felice con l'uscita della città) era diviso in quattro parti: quella iniziale, sino a via Sassari, era "sa passillara"; il tratto dall'attuale via Sassari a via Caprera era, invece, "s'arruga de is ferreris" (la strada dei fabbri"), testimonianza della grande presenza di artigiani nella zona. Curioso il fatto che, essendo fuori dalle mura, Stampace si considerava un vero e proprio borgo: non a caso il terzo tratto, quello sino alla chiesa dell'Annunziata, era "su brugu". E l'ultimo, l'attuale viale Trento, era il "piccolo borgo", cioè "su brughixeddu".

Oltre "sa cruxi", la croce che indicava l'inizio della città vera e propria, c'era il quartiere dei pescatori che lavoravano nella laguna, Sant'Avendrace, chiamato in sarda Sant'Arennera. Era il quartiere dei pescatori ma anche di chi falliva nel centro storico: chi, cioè, non poteva più permettersi di vivere a Stampace o Villanova la finiva nelle grotte di Tuvixeddu. E, se le cose miglioravano un po', trovavano casa a Sant'Avendrace. Ovvio che finire in un quartiere in questo modo era considerata una iattura.

Un quartiere con due nomi diversi, uno in sardo, l'altro in italiano decisamente curiosi. Sant'Arennera, sostengono gli studiosi, sarebbe in realtà Santa Venera, martire alla quale sono molto devoti in Sicilia. Evidentemente c'era una chiesa dedicata proprio a questa martire, scomparsa nei secoli. Soltanto un'ipotesi dal momento che non esiste alcuna traccia e neanche nessuna testimonianza dell'esistenza di una chiesa dedicata alla santa (il cui nome completo era Veneranda) nata ad Acireale e martirizzata a Roma dall'imperatore Antonino Pio. E, con questa chiesa, è scomparso o, meglio dire, è cambiato anche il nome: Santa Venera è diventata Santa Tennera e poi, appunto, Sant'Arennera.

E, se, almeno a quanto sostengono i fedeli, se non altro, Santa Venera è realmente esistita, l'altro nome è pura invenzione, Sant'Avendrace. Secondo la tradizione, Avendrace sarebbe stato un vescovo di Cagliari; solo che la Chiesa non lo riconosce come santo. Cosa che non ha minimamente turbato i sonni dei fedeli cagliaritani che, addirittura, oltre che un quartiere, gli hanno dedicato anche una chiesa. Secondo quanto sostiene il glottologo Giulio Paulis, il nome deriverebbe dal bizantino Euandràki, diminutivo di Euandros. Chi ha masticato un po' di greco al liceo classico, non ha certo difficoltà a scoprire l'etimologia del nome: "eu" singifica buono, "andros" uomo. Dunque, Avendrace significa uomo buono, uomo di alte doti. Come si sarebbe passati da Euandràki ad Avendrace? In età, bizantini la "u" divenne "v". Quindi Euandràki si trasformò in Evandràki. Poi, per metatesi vocale, divenne Avendràki da cui deriverebbe, secondo quanto scrive Francesco Alziator nei "Giorni della laguna", l'attuale Avendrace.
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