Un tempo era facile come scattare una fotografia: si faceva l'inquadratura, si premeva il pulsante sperando di non aver sbagliato nulla e, a fine vacanza, i rullini finivano nel laboratorio per lo sviluppo e la stampa. E chiunque fosse stato inquadrato per sbaglio, o per caso, oltre il soggetto che si voleva fotografare, non creava problemi.

Poi è arrivata la fotografia digitale: istantanea, trasferibile, ritoccabile, trasmissibile ad altri. Ma è proprio in quest'ultima qualità, cioè la facilità con cui si trasferisce un file jpeg, che si nasconde l'insidia. Finché chi ha scattato quella foto la tiene per sé, al massimo si limita a inserirla in un album e le mostra agli amici ("mitiche", con tutta l'ironia del caso, le serate con le diapositive delle vacanze imposte a gruppi annoiati), va tutto bene. Ma se la trasmette, e la destinazione è ad esempio Facebook oppure Instagram, cominciano i problemi perché le sta di fatto pubblicando. Così, tutte le persone che compaiono in quello scatto, entrate per caso in quanto passanti che erano lì mentre si fotografava ad esempio il Colosseo e a loro proprio non si pensava, diventano all'improvviso "visibili" in tutto il mondo. E non sempre gradiscono, il che porta problemi che sfociano nei Tribunali civili.

Premesso che il rimedio sarebbe continuare a tenere per sé gli scatti delle vacanze, o del compleanno della zia - il mondo può rinunciare a vedere quelle foto -, si sa che molte delle persone che fanno una vacanza hanno poi il desiderio di sbattertela in faccia pubblicando foto e video sui social network. Esponendosi così a fastidi che, a seconda dei casi, semplici fastidi poi non sono più perché si trasformano in grane giudiziarie. Poi ci sono quelli che le foto le fanno fare: la pubblicazione ha un senso, ma i limiti di legge potrebbero essere comunque un problema.

Come difendersi? C'è una sovrabbondanza di norme sulle fotografie - diritto d'autore, legge sulla riservatezza dei dati personali (e il nostro viso lo è) - limitazioni che valgono per alcuni e non per altri: dipende dal motivo per cui si scatta una foto e la si diffonde. Dunque, se la pulsione di pubblicare le foto di un viaggio su Internet è incontrollabile, è il caso di tenere presenti alcuni capisaldi quando si scatta, perché poi le conseguenze non sempre sono piacevoli. Ad esempio, per decenni la Rai ha trasmesso la sigla di "Novantesimo minuto" in cui il montatore aveva inserito l'immagine di un uomo che, allo stadio, si metteva un dito nel naso. È andata in onda migliaia di volte, quella sigla, e dopo tanti anni lo "speleologo" nasale ha fatto causa alla Rai, vincendola. La tv di Stato gli liquidò una cifra interessante.

Esistono luoghi privati, luoghi pubblici e luoghi privati aperti al pubblico. E la disciplina degli scatti fotografici varia non solo a seconda del luogo, ma anche di chi scatta. La legge sulla privacy, ad esempio, privilegia giustamente il fotoreporter: se l'esigenza di pubblicare la foto è giornalistica, il diritto della persona che compare nello scatto si riduce molto. Così, se all'esterno si scatta una foto per un articolo giornalistico sui saldi di fine stagione, il fotoreporter scatta e pubblica sul giornale senza chiedere il permesso a chi è ritratto davanti a una vetrina. Certo, se il servizio giornalistico è sulla prostituzione e si pubblica una foto di una qualunque ragazza che cammina per strada, l'accostamento tra tema scabroso e volto di una persona che non c'entra niente con quel tema porterà senz'altro a un risarcimento dei danni richiesto dalla giovane ritratta.

Ma questo accade nel giornalismo, mentre qui si parla di foto-ricordo scattate da chi, nella vita, non fa il giornalista, ma le foto delle vacanze oppure scatta per un genere che si chiama "street photography" (foto di strada). È un genere che da sempre contrappone il desiderio del fotografo di catturare le vite della gente, quindi ha la pretesa di sfornare opere d'arte, a quello di riservatezza delle persone ritratte.

Benché fotografare persone in luoghi pubblici (tornando alle vacanze) sia legale nella gran parte delle nazioni del mondo, non sempre lo è quel che ne segue. Ad esempio, tutto cambia se quello scatto che ritrae persone sia pubblicato, venduto, esposto in pubblico su Internet o in una mostra: in questi casi, la legge sul diritto d'autore obbliga il fotografo a chiedere l'autorizzazione scritta a chi compare nello scatto. Sarebbe necessario sempre, ad eccezione di personaggi famosi o che svolgono un ruolo pubblico, per necessità della giustizia o quando si tratta di fatti, cerimonie e avvenimenti svoltisi in pubblico o di interesse pubblico. Tutto questo non vale se lo scatto danneggia la reputazione di chi vi compare: se una persona ferma la macchina lungo una strada fuori città e si nasconde dietro un cespuglio per dare pace alla propria vescica, e noi scattiamo, quella foto non dovrà vederla nessuno perché reca pregiudizio all'onore, alla reputazione e al decoro del soggetto. Sono le stesse basi del reato di diffamazione. In ogni caso, secondo l'articolo 10 del Codice civile, il soggetto o i familiari della persona che compare in uno scatto possono opporsi alla pubblicazione. Quindi, se si scattano foto che si sa di voler pubblicare, è il caso di far firmare una liberatoria alle persone fotografate. Se invece la foto "è" la persona e il fine è giornalistico, didattico o culturale - fermo restando che si giudica scatto per scatto - la foto sarà considerata un'espressione artistica, la cui libertà è tutelata dall'articolo 21 della Costituzione.

Quindi, anche se siete in vacanza, il consiglio è di fotografare posti, non persone: costa poco attendere il momento in cui non ci siano persone molto riconoscibili, per fare lo scatto: si evitano un sacco di noie, in caso di pubblicazione anche sul Web o sui social network. Anche perché la legge sul diritto d'autore permette che il consenso della persona ritratta - se la foto è pubblicata o venduta - possa essere espresso anche in un secondo momento (ma la dobbiamo trovare, quella persona), invece per la legge sulla privacy non c'è scelta: prima il consenso scritto, poi si scatta. Se questo avviene nel corso di un evento pubblico (una manifestazione, ad esempio), la liberatoria non è richiesta. In realtà, la legge sulla privacy ci obbligherebbe quantomeno a informare le persone fotografate di come s'intende utilizzare lo scatto, anche se applicarla è piuttosto complesso.

E se il soggetto della foto è un posto, e la persona inquadrata del tutto secondaria? Allora non è un ritratto, quindi non ci sono autorizzazioni da chiedere. Ovviamente, l'utilizzo commerciale della foto può cambiare le cose. E se proprio troviamo un volto, o una situazione non imbarazzante, alla quale non possiamo rinunciare, tanto vale chiedere l'autorizzazione della persona che compare nello scatto. Pronti ad accettare anche un no: è suo diritto.

Per chiudere, un consiglio: se in uno scatto compare una persona con un ruolo secondario e non è esattamente un'immagine da premio fotografico, teniamola fuori dai social network. Così risparmiamo un sacco di soldi che altrimenti spenderemmo per farmaci contro il mal di testa.
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