Non solo nuraghi e tombe dei giganti. C'è una Sardegna che vale la pena di scopriredentro i musei, nei centri d'arte, nelle chiese. E' quella dei retabli, un patrimonio pittorico unico per le sue peculiarità, non riscontrabile in altre parti d'Italia e che sotto gli aragonesi ha trovato la massima diffusione. Dal retablo della Madonna del Latte, a Villamar, ai retabli della Pinacoteca nazionale di Cagliari, un lungo viaggio nella storia di secoli fa, dove non mancano retroscena su alcune opere presunte disperse e poi ricomparse in collezioni private. C'è tanto da scoprire dietro gli altari delle chiese cristiane, un mondo che affascina non solo gli intenditori di arte sacra ma qualunque visitatore che finisce rapito dalle raffigurazioni pittoriche. Molti retabli, pur restando i loro autori ancora anonimi, vengono identificati dalla prima opera a cui è stata attribuita la mano di quel pittore. Come il retablo di Tuili, all'interno della parrocchia di San Pietro, attribuito al "maestro di Castelsardo", dato che è proprio lì che si trova il capolavoro dello stesso artista. Origini. Il retablo (parola castigliana che deriva dal latino "retro tabula altaris") è una grande pala d'altare, suddivisa architettonicamente in scomparti, che si compone di parti pittoriche e sistemata dietro gli altari delle chiese. È l'insegnamento teologico della sacra scrittura l'aspetto più importante trasmesso da un retablo, in un'epoca nella quale la fede veniva pienamente vissuta. L'origine storica di questa particolare pala d'altare risale al IV Concilio Lateranense del 1215, durante il quale si affermò il dogma della "transustanziazione", cioè la reale trasformazione della sostanza del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù. Era sull'altare, infatti, che si officiava il rito dell'Eucarestia. Dopo il 1215 il retablo si diffuse dalla Spagna in tutta l'area del Mediterraneo. In Sardegna arrivò direttamente dalla Catalogna dalla quale furono importati diversi esemplari nelle chiese, fino agli inizi del XVII secolo. Dall'aprile 1326, con l'occupazione degli aragonesi a Cagliari, le tavole di pittura italiana vengono sostituite da quelle catalane: il retablo sardo, quasi esclusivamente di legno, con lo sfondo d'oro, rappresenta scene sacre che servivano a "istruire" i fedeli, in gran parte analfabeti. Gli studi sul retablo quattrocentesco confermano la struttura piatta, simile a quella di un trittico poggiato su una predella poco sporgente lateralmente. Il tutto era protetto e incorniciato dai "polvaroli", anch'essi dipinti con figure di santi e profeti. Sul finire del secolo la base si rigonfia al centro formando al suo interno il tabernacolo. Sopra, al posto d'onore, la nicchia che accoglie la statua, in genere quella della Madonna. Il patrimonio dell'Isola.

A Villamar, nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, si può ammirare un magnifico retablo "in situ", ancora collocato nel luogo e nel contesto originali per i quali era stato commissionato e realizzato. L'autore è, nel 1518, il pittore Pietro Cavaro. Il suo retablo di Villamar è il secondo "polittico" più grande e completo di tutta la produzione pittorica sarda del Cinquecento (dopo il retablo della chiesa palatina di Santa Maria del Regno ad Ardara, di Giovanni Muru e aiutanti). Ma non è grande solo come misure, più di 7 metri e mezzo per 3,79, ma anche come qualità artistica e spirituale. Il retablo di Mara Arbarei, antico nome di Villamar, è la prima opera del Rinascimento pittorico sardo nella quale si fondono meravigliosamente i più recenti e innovativi indirizzi artistici con il gusto sicuramente più conservatore di chi commissionò tale opera, ancora legato alla pittura spagnola del Quattrocento. Richiesto dal signore di Mara Arbarei, l'allora giovane don Salvatore Aymerich, è completo anche delle porte, anch'esse dipinte che arrivano fino a terra incorniciando l'altare anche lateralmente: la Madonna del latte, che gli dà il nome, è dentro una nicchia ornata con elementi architettonici tipici di una cappella gotico-catalana, come quella della Sacra Spina, nel Duomo di Cagliari.

Visitando la Pinacoteca nazionale di Cagliari, nella Cittadella dei musei, si scoprono altri meravigliosi retabli e, tra questi, quelli della chiesa di San Francesco, a Stampace, messi in salvo dopo il suo crollo nel 1875, a seguito di un fulmine che colpì il campanile quattro anni prima, con conseguente rovina dell'intero complesso, del quale faceva parte il convento dei frati minori francescani, con l'annesso chiostro, in parte visibile ancora oggi. Altri retabli (o parti di essi) sono sparsi per la città. Il retablo dei Beneficiati, doppio trittico della bottega dei Cavaro, si trova al museo del Duomo e contiene tracce di due episodi violenti capitati a Cagliari nel 1552 a due fratelli, Bartolomeo e Gerolamo Selles. Il retablo dei Consiglieri, di Pietro Cavaro, si trova nel Municipio di via Roma. Nella chiesa di San Pietro, a Pirri, si trovano due tavole pittoriche, due scomparti residui di retabli smontati e dispersi: una Crocefissione, realizzata a tempera e olio e attribuita ad Antioco Mainas, e uno Sposalizio mistico di Santa Caterina, anch'esso realizzato a tempera e olio e attribuito a Michele Cavaro, figlio di Pietro. Su un trono dai braccioli ornati con eleganti fregi rinascimentali siede la Madonna con in grembo Gesù bambino che infila un anello al dito di Santa Caterina. Due quadri della celebre bottega cagliaritana dei Cavaro di Stampace, rimasta attiva per più di un secolo e per tre generazioni.

Nella chiesa di San Giacomo si può ammirare La Madonna del giglio, tavola di scuola catalana della fine del XV secolo. Nella sacrestia della chiesa di Santa Rosalia si trova la Madonna dei sette dolori, anche questa di Pietro Cavaro, ultimo scomparto rimasto nella chiesa di un omonimo retablo disperso, del quale resta in Pinacoteca il "Compianto sul Cristo morto", nonché le fotografie in bianco e nero di altre tre tavole. Un Crocefisso dei primi del XVI secolo si trova, invece, nell'ufficio del presidente della Corte d'appello. La Madonna del Cardellino, celebre quadro di Raffaello raffigurato nello scomparto centrale di un retablo disperso, metà XVI secolo, si può ammirare nel santuario di Bonaria.
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