Mai giudicare un virus dalla copertina. Il nome, Monkeypox, potrebbe pure sembrare simpatico. Il vaiolo delle scimmie arriva in mondo flagellato dalla pandemia di Covid 19 andando a occupare una minima parte dell’attenzione mediatica complice la curiosità per una malattia misteriosa ma non troppo. È un’infezione trasmessa dagli animali all’uomo (vi ricorda qualcosa?), un virus della stessa famiglia del vaiolo ma meno trasmissibile e provoca una malattia meno grave. La sua esistenza è nota da tempo, per l’esattezza dal 1958 quando venne identificato nelle scimmie ospitate in un laboratorio danese. Nelle aree in cui è endemico si trasmette attraverso fluidi corporei, un morso, contatto diretto con carne e sangue.

Per la prima volta è stato identificato come patogeno umano nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo. Oggi la malattia è endemica in Benin, Camerun, Repubblica Centro Africana, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Gana (solo casi in animali), Costa d’Avorio, Liberia, Nigeria, Repubblica del Congo, Sierra Leone, e Sud Sudan. Fino a qualche tempo fa la malattia era un problema delle zone più povere del pianeta, parte di un lungo elenco di flagelli divini. Ma poi è successo qualcosa. In 9 giorni, dal 13 al 21 maggio, sono stati segnalati casi di Monkeypox umani in dodici stati in cui la malattia non è endemica. Tra questi paesi c’è anche l’Italia. Il protocollo prevede immediate indagini per verificare la possibile catena di trasmissione. Secondo l’Istituto superiore di sanità i casi identificati fino a oggi sono stati riscontrati in giovani “che si autoidentificano come MSM, maschi che fanno sesso con maschi”.

Il rischio generale stimato viene definito moderato per le persone che hanno più partner sessuali mentre è considerato basso per il resto della popolazione.

Come ci si può infettare?

Il virus non si trasmette facilmente da persona a persona. La trasmissione umana è legata principalmente al contatto stretto con i fluidi corporei o con le lesioni cutanee di una persona infetta. Certo, si può contrarre l'infezione anche attraverso i famosi droplets, che abbiamo avuto modo di conoscere bene durante la pandemia di Covid, che non è ancora finita. Contatto prolungato con persone infette, faccia a faccia, rapporti sessuali. I sintomi sono spesso evidenti, sotto forma di vescicole cutanee, pustole e croste. Ma soprattutto febbre, dolori muscolari, cefalea, rigonfiamento dei linfonodi stanchezza e manifestazioni cutanee quali vescicole, pustole, piccole croste.

Per guarire, nella maggior parte dei casi, servono dalle 2 alle 4 settimane. Il decorso è in genere benigno ma a volte è stato necessario somministrare degli anti virali.

Come nella maggior parte delle patologie, avverte l’Iss, il vaiolo delle scimmie può causare una malattia più grave in alcuni gruppi di popolazione particolarmente fragili quali bambini, donne in gravidanza e persone immunosoppresse.

La domanda frequente è quale possa essere la copertura garantita dal vaccino contro il vaiolo, che fino al 1981 era obbligatorio in Italia. La risposta è positiva, in quanto gli anticorpi, per la similitudine del virus del vaiolo con il monkeypox, possono essere efficaci a contrastare anche questa virus.

In una popolazione provata dal Coronavirus l’avvento di una nuova malattia crea preoccupazione. Ecco perché il Ministero il 25 luglio ha provato a fare chiarezza con una circolare che sottolinea la pericolosità della trasmissione per via sessuale e ipotizza la vaccinazione per gli operatori sanitari. Nello specifico “la vaccinazione post-esposizione, idealmente entro 4 giorni dall’esposizione” al virus

Dalla circolare emerge come al momento sono 68 i casi confermati di vaiolo delle scimmie registrati in Stati membri dell’Unione Europea e almeno 42 casi in fase di indagine. Al 23 maggio non si sono registrati casi di decesso.

Vietate inoltre le trasfusioni di sangue in caso di sospetto contagio.In Sardegna al momento non sono stati segnalati casi, tuttavia è improbabile che l’Isola resti immune.

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