<C’era una volta…

-Un Re! – diranno subito i miei piccoli lettori.

No ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno>.

Era un giorno di luglio di 140 anni fa, esattamente il 7, quando i piccoli lettori del “Giornale per i bambini” furono sorpresi dall’originale incipit: cominciava proprio con un ciocco di legno il primo di otto capitoli dell’immortale “Pinocchio”, la bellissima favola pensata da Carlo Collodi per l’infanzia, rivelatasi però perfetta anche per gli adulti. Non a caso un filosofo come Benedetto Croce aveva così sentenziato: <Il legno, in cui è tagliato Pinocchio, è l’umanità>.

Di certo Carlo Lorenzini, questo il vero nome di Carlo Collodi, giornalista e scrittore, non aveva in animo un progetto così alto. A guidarlo era piuttosto l’urgenza di risolvere un problema di debiti di gioco. Ecco perché propose il suo lavoro senza troppa convinzione, definendolo <una bambinata>, per il primo numero del “Giornale dei bambini”, settimanale supplemento del quotidiano Il Fanfulla, uscito proprio quel 7 luglio dell’estate 1881. «Fanne quello che ti pare, ma, se la stampi, pagamela bene, per farmi venire voglia di seguitarla», aveva detto al direttore, immaginando di chiudere quel racconto salva- debiti in pochi capitoli. L'intenzione di Collodi era infatti di dare alla storia un brutto finale, con il burattino che, impiccato, «stirò le gambe e, dato un gran scrollone, rimase lì come intirizzito». Un’immagine che non piacque affatto ai piccoli lettori, i quali - si racconta - protestarono al punto da convincere la direzione del giornale della necessità che Collodi andasse avanti nel racconto e proseguisse la pubblicazione. Il lavoro non fu semplice, anzi. Furono necessari altri due anni per dare alla storia un finale in linea con l'obiettivo pedagogico dell’opera: da burattino Pinocchio diventa, come si sa, un bambino in carne e ossa, e per dirla con le sue parole, “un ragazzino perbene”, educato e studioso.

Il titolo della fiaba, all'inizio, era “La storia di un burattino” e solo nel 1883 venne pubblicato in volume dalla Libreria Editrice Felice Paggi con le illustrazioni di Enrico Mazzanti.

Su “Pinocchio”, meglio su “Le avventure di Pinocchio” sono stati scritti fiumi di parole. Per Piero Dorfles è un romanzo di formazione, perché rappresenta tutto ciò che, diventati adulti, può venire rimpianto. Pinocchio, come dice Marco Belpoliti, è un “eroe della fame” e la fame non appartiene solo ai bambini, tanto che lo stesso Geppetto ne soffre e ha messo sul focolare una pentola dipinta sul muro. È  stata data un'interpretazione esoterica della favola, basata tra l'altro sul fatto che Collodi apparteneva probabilmente a una loggia massonica fiorentina; una visione cattolica del capolavoro collodiano è offerta dalle riflessioni del cardinale Giacomo Biffi nei libri “Contro maestro Ciliegia: commento teologico a Le avventure di Pinocchio”, secondo cui, al di là della laicità dell'autore e delle sue stesse intenzioni, è possibile leggere le vicende del burattino in parallelo con la storia della salvezza secondo il credo cattolico.

Di sicuro Pinocchio è un romanzo che continua ad accompagnarci nella vita e non solo perché le bugie fanno venire il naso lungo (l’altro genere sono le gambe corte). I personaggi che ne colorano l’intricata storia, sono diventati figure archetipiche della nostra cultura quotidiana. Ragion per cui, di due furbastri, un po’ male in arnese, si dice che sono come il Gatto e la Volpe, che sì, beffano Pinocchio rubandogli gli zecchini d’oro, ma si ritrovano mendicanti. Chi invece si prodiga nel dare consigli saggi, ma resta inascoltato, è considerato un seccatore, un Grillo Parlante, morto spiaccicato contro il muro per aver detto a Pinocchio verità che il burattino non voleva sentire. Infine Lucignolo, sinonimo di un giovane ribelle e scapestrato, un compagno capace di portare i ragazzi nel Paese dei balocchi nulla di più di un breve sogno.

© Riproduzione riservata