Paolo Rossi era un ragazzo come Antonello Venditti. E come Franco Cerilli, sinistro di velluto e genio da vendere, capace forse come nessun altro di aprire a Pablito la strada del gol. Era il Vicenza dei miracoli, fantasia al potere e secondo posto in A dietro una Juventus stellare. Mitici anni Settanta, mitica squadra cesellata dal demiurgo Giambattista Fabbri, al quale bastava poco per far sì che quell’orchestra suonasse dolci melodie. E Pablito, oggi, a un anno e pochi giorni dalla sua scomparsa, rivive nel ricordo di un compagno con il quale ha legato molto, in campo e nella vita.  “Amici veri dal momento in cui ci siamo conosciuti”, racconta Franco Cerilli. “Siamo arrivati insieme a Vicenza, nel 1976, e abbiamo legato subito. Siamo stati compagni di squadra per un triennio, ma il nostro rapporto di amicizia è rimasto solido per 45 anni. Ci si vedeva quasi tutti i sabati, organizzavamo partitelle, cene. Un modo di stare assieme oltre il calcio”.

Cerilli e Rossi in una foto di pochi anni fa (foto concessa)
Cerilli e Rossi in una foto di pochi anni fa (foto concessa)
Cerilli e Rossi in una foto di pochi anni fa (foto concessa)

Rossi aveva in Cerilli un suggeritore sontuoso. Classe 1953, veneto di Chioggia, mancino, era il rifinitore di un undici che giocava a meraviglia, un concentrato di tecnica e di sostanza. A centrocampo palleggiatori fini come Salvi e Faloppa, un tuttofare come Filippi, un difensore centrale di grande caratura come Prestanti. “Giancarlo Salvi era il nostro professore in campo, sapeva come far girare la squadra. Ma la stella di quel Vicenza era Paolo. Giocare con lui – ricorda Cerilli – era facilissimo, una delizia. Sapevo che fingeva di venire incontro alla palla e gliela davo lunga, ero certo che sarebbe andato dritto in porta. Con altri centravanti era più difficile, non sapevi mai dove andavano”. La stima ovviamente era reciproca. “Pablito, quando andò in tournée la nazionale Over 40, che schierava tanti campioni del mondo del 1982, mi volle con loro per il Mundialito del 1993”.

Il Vicenza che arrivò secondo il Serie A nella stagione 1977-78 (foto concessa)
Il Vicenza che arrivò secondo il Serie A nella stagione 1977-78 (foto concessa)
Il Vicenza che arrivò secondo il Serie A nella stagione 1977-78 (foto concessa)

Il Vicenza di Rossi e Cerilli ha incarnato un’esperienza forse irripetibile. “Quando costruirono la squadra in B i giornali locali ci davano retrocessi, dicevano che eravamo gli scarti dei grandi club. Io per loro, ad esempio, ero lo scarto dell’Inter, Giancarlo Salvi quello della Samp. In breve tempo invece ci siamo trovati a divertire e a divertirci”. In campo con la testa libera, senza pensieri. L’ingrediente migliore del Vicenza di Fabbri era il divertimento. “Era un gruppo solido, il venerdì si andava a tutti insieme. E il sabato mattina ad allenarci per smaltire le tossine”.

Nonostante la sua classe cristallina Cerilli non vestì mai la maglia azzurra. Vien da sorridere: oggi una maglia azzurra non si nega neppure a giocatori con angoscianti problemi di stop, allora fior di calciatori come Claudio Sala e Franco Baresi faticavano a trovare spazio perché davanti a loro c’erano Causio e Scirea. “C’era il blocco Juve – dice Cerilli – ed era giusto che fosse così”.

Rossi poi andò proprio alla Juventus, Cerilli concluse la sua carriera tra Pescara e Padova, avendo dal calcio indubbiamente meno di quanto, visto il suo talento, avrebbe meritato. Coinvolto nella bruttissima pagina del Totonero, subì una pesante squalifica ma negò sempre ogni addebito. “Non ho mai venduto una partita”, disse anni fa al Guerin Sportivo. La stima degli appassionati di calcio nei suoi confronti è immutata. Come solido è rimasto il legame di Cerilli con Rossi. “Era facile voler bene a Paolo, un ragazzo semplice nonostante la sua grandezza. Ricordo la sua disponibilità, l’allegria che manifestava a cena come nelle gite. Abbiamo passato molti momenti insieme, giocando a tennis,  oppure in vacanza alle Maldive. Nessun campione nel giorno d’oggi è come lui. Non negava una foto o un autografo a nessuno. Adesso per avere un autografo o un’intervista a momenti bisogna telefonare a Mattarella o a Draghi”.

Cerilli e Rossi su un campo da tennis (foto Ravezzani)
Cerilli e Rossi su un campo da tennis (foto Ravezzani)
Cerilli e Rossi su un campo da tennis (foto Ravezzani)

Cerilli e Rossi si sarebbero dovuti incontrare a Natale dello scorso anno. “Dovevamo vedere insieme una partita. Il 9 dicembre all’alba invece mi ha svegliato mia moglie, dandomi la terribile notizia della sua scomparsa. Sapevo che stava male, non immaginavo però che ci avrebbe lasciato così presto”. La scomparsa del bomber di Prato ha segnato profondamente il trequartista di Chioggia, che ora si gode moglie, figlia “e due nipotini che amo da morire”, osservando il calcio senza molto entusiasmo. 

Franco Cerilli con la maglia del Vicenza (Cerilli/Facebook)
Franco Cerilli con la maglia del Vicenza (Cerilli/Facebook)
Franco Cerilli con la maglia del Vicenza (Cerilli/Facebook)

Appese le scarpette al chiodo, Cerilli ha allenato squadre dilettantistiche, insegnando la tecnica e la libertà di stare in campo. “Il calcio di oggi non è più quello che piace a me. Quando vedo un portiere che tocca cinquanta palloni a partita mi viene l’orticaria. E non sopporto certi luoghi comuni. Adesso c’è il mito del falso nueve. Quel ruolo esiste da mezzo secolo, soltanto che allora il falso nove si chiamava centravanti di manovra, lo facevo io alla Massese quando iniziai a giocare tra i professionisti”. Altri tempi, altri professionisti. E Paolo Rossi. Un ragazzo come noi.

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