L’attenzione, assieme alla speranza, è concentrata sulla parte che ospita i vecchi edifici dell’ex base della Marina militare. Anzi, a voler essere precisi, si ritiene che i nuovi tesori di Nora siano sotto quelle costruzioni abbandonate e vincolate, per un motivo ben preciso: «In passato sono state scoperte strade che puntano in quella direzione», spiega Giacomo Zago, responsabile del consorzio Sistema culturale Sardegna che gestisce il sito archeologico sul mare nel territorio di Pula, a poche decine di chilometri da Cagliari.

L’attenzione c’è, la speranza pure. Non così i soldi: da sempre gli scavi nella città fenicio-punico-romana – sorta tra l’ottavo e il sesto secolo avanti Cristo e abbandonata in periodo medievale, mai totalmente sepolta – devono fare i conti proprio con i conti: pochi soldi, quindi pochi scavi per scoprire cos’altro nasconde il gioiello archeologico di cui si utilizza ancora il teatro romano per le rassegne culturali e di spettacolo estive. La pandemia da Covid-19, se era possibile, ha ulteriormente peggiorato la situazione: a Nora, praticamente, non s’indaga nel sottosuolo da un anno e mezzo.

Eppure, sotto il profilo turistico, Nora funziona: le cooperative Di-Segno di Cagliari e Irei di Villagrande Strisaili, riunite nel consorzio Sistema culturale Sardegna, quest’estate hanno staccato una media di quattrocento biglietti d’ingresso al giorno: tra i duecento e i trecento in quelli di “magra” e punte di ottocento nella parte più calda, in ogni senso, della stagione. Segno che Nora ancora oggi costituisce non soltanto un gigante sotto il profilo culturale, ma anche un’attrattiva turistica che funziona assai bene.

Ma si sa: l’Italia è disseminata di ricchezze nel sottosuolo, per fortuna e purtroppo: è positivo perché l’archeologia, fondata sulla nostra Storia, fa di noi una nazione senza concorrenti per quanto riguarda le testimonianze del passato, ma il rovescio della medaglia è che non ci sono, non ci possono essere, fondi sufficienti per finanziare la gigantesca quantità di scavi necessari per riportare alla luce i tesori nazionali e mantenere quelli che già ci sono. Così anche Nora si deve accontentare di briciole e di brevi campagne più di manutenzione che di scavo, come quelle che si concludono in questo periodo, condotte dalle Università di Cagliari (Isthmos project), Milano (scavo di Milano Nora), Padova (Progetto Nora) e dell’Ateneo di Genova.

Inutile cercare in mare, gli archeologi ne sono convinti: «Tutto ciò che è stato trovato sotto il livello dell’acqua», racconta Zago, «è stato strappato alla terra dalle mareggiate, ma la convinzione è che la città si sviluppi al di sotto di ciò che già emerge»: appunto, in direzione delle casermette in abbandono della Marina militare. Lì giù, molti archeologi ne sono convinti, gli scavi potrebbero regalare ancora tantissimo, ma per andare a guardare sotto terra è necessario che dal lato opposto, cioè sopra il suolo, qualcuno dia i soldi necessari per proseguire le campagne di scavo. «I brevi cantieri aperti quest’estate, soprattutto per la cura di ciò che già è stato fatto, sono conclusi o agli sgoccioli», ricorda il responsabile del consorzio Sistema culturale Sardegna.

È davvero un peccato, sotto tutti i punti di vista, ma – secondo un detto napoletano – “l’acqua è poca e la papera non galleggia”. Certo, il cantiere di Nora – anzi, la Missione archeologica, com’è denominata – è comunque proseguita con i fondi che man mano sono arrivati. La Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio della Città metropolitana e delle province di Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra ha affidato la campagna, nel 1990, alle Università di Genova, Padova, Pisa e della Tuscia di Viterbo. Poi l’avvicendamento tra gli Atenei di Pisa e il Ca’ Foscari di Venezia (nel ’98), che a sua volta nel 2001 ha passato il testimone all’Università di Milano. Nel 2013, finalmente, compare nel gruppo di ricerca anche l’Università di Cagliari, e ancora c’è.

Le ricognizioni di superficie attorno alla città già scavata sono andate avanti dal 1992 al 2002, poi nel 2010 è stato aperto un nuovo fronte d’indagine verso le acque che circondano la penisola (c’è anche uno stagno), per individuare le strutture sommerse a causa dell’erosione della costa e dell’innalzamento del livello del mare.

Il Covid-19 ha bloccato le campagne di nuovi scavi estive: si svolgono nella parte visitabile del sito archeologico di Nora, negli edifici parzialmente indagati negli anni Cinquanta, e anche al centro e a nord della penisola: quest’ultima è la zona meno esaminata, a causa della presenza degli edifici della Marina militare ora in disuso. Per “indovinare” che cos’altro può essere scoperto, gli archeologi coordinati dalla Soprintendenza si basano su altri siti simili nel Mediterraneo e sull’analisi delle fonti scritte. Nora è una città morta, ma la sua scoperta è sempre viva: un po’ magra, perché i fondi a disposizione sono pochi, ma comunque viva.

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