Malati di burocrazia: 80 miliardi di euro sprecati ogni anno in procedure inutili
Secondo una ricerca della Cgia di Mestre siamo il Paese più rallentato dagli adempimenti nell’intera Unione europea. Sardegna al posto numero 122 della classifica delle regioni dell’UePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Alla fine dei conti, ce la caviamo con ottanta miliardi di euro l’anno. Ce la caviamo, si fa per dire: quella cifra rappresenta un’enormità, considerate le tasse altissime che gli italiani sono costretti a pagare, e la qualità comunque bassa di molti servizi pubblici. Ma a che cosa servono, quegli ottanta miliardi? A pagare i danni che derivano soprattutto dai rallentamenti, ma non soltanto, provocati al Paese da un nemico invisibile ma micidiale: si chiama burocrazia. Un «fardello» - così lo definisce l’Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, conosciuta con l’acronimo Cgia – insopportabile che schiaccia soprattutto le microimprese: sono quelle che affogano fra documenti da presentare, timbri mancanti e file lunghissime agli sportelli pubblici, anche solo per ottenere un’informazione.
Alcuni anni fa era pure peggio, ma una burocrazia almeno paragonabile a quella degli altri Paesi europei è ancora adesso ben lontana: le norme restano atrocemente complesse e spesso gli imprenditori devono combattere con il fatto che nella pratica siano impossibili da applicare. Ma le sanzioni arrivano, eccome se arrivano, a soffocare un sistema già pesantemente asmatico.
C’è una verità purtroppo innegabile: al di là della complessità delle norme in vigore, bisogna considerare anche i tempi lunghissimi per il rilascio di permessi e autorizzazioni da parte della cosiddetta PA, la pubblica amministrazione. Difficile stupire qualcuno che viva in Italia, se ricordiamo che quei tempi restano tra i più elevati in Europa, dovuti anche a una digitalizzazione dei servizi pubblici che ancora non ha raggiunto standard soddisfacenti.
E chi lo paga, il conto di tutto questo agire da Armata Brancaleone? I cittadini, certo, ma soprattutto le imprese: una parte considerevole del tempo che potrebbero dedicare alla produzione di ciò che fanno, devono dedicarla a smuovere la burocrazia. E il tempo è denaro, come ci ha insegnato Zio Paperone fin da quando eravamo bambini.
Detta in parole povere: la nostra Pubblica amministrazione è da rottamare? Secondo la Cgia di Mestre, la risposta è no, perché a tante inefficienze affianca anche punte d’eccellenza che ci sono invidiate in tutto il mondo. Riguardano la Sanità, per quanto in discesa, ma anche la ricerca, l’università e la sicurezza. Ma per il resto, la macchina dello Stato è mediamente in difficoltà, soprattutto nel Mezzogiorno, dove le punte d’inefficienza sono più che gravi.
Se la burocrazia strangola un Paese, la risposta non è soltanto nel potenziare il personale pubblico. Funziona assai meglio la semplificazione delle normative, in modo da consentire alle aziende di muoversi senza tutto quel peso burocratico. Per questo, all’inizio di aprile, è stato approvato un disegno di legge del Governo che abroga 30.700 norme non proprio nuove di zecca: erano state varate tra il 1861 e il 1946. L’iter parlamentare non è ancora completato, ma quando lo sarà l’Italia potrà respirare un po’ grazie alla riduzione del 28 per cento delle norme in vigore. Non è poco, è evidente.
Certo, sarebbe un bel progresso eliminare vecchie norme che appesantiscono il sistema, ma non sarebbe la soluzione definitiva. Questo, perché dal confronto con gli altri Paesi europei emerge chiaramente che la nostra Pubblica amministrazione è afflitta da differenziali di inefficienza molto preoccupanti. La Bei, Banca europea degli investimenti, ha condotto un’indagine: è risultato che il 90 per cento delle imprese italiane ha dichiarato di avere personale assunto proprio per adempiere agli obblighi normativi. Insomma, non produce: sbroglia la burocrazia creata dallo Stato. Nessun Paese europeo fa peggio di noi, sotto questo profilo. In Francia il dato è 87%, in Germania 84%, in Spagna 82%, a fronte di una media dell’Unione europea pari all’86%.
C’è una classifica, redatta dall’università di Göteborg in Svezia, secondo la quale le performance delle regioni italiane sono molto modeste. La migliore è il Friuli Venezia Giulia, al 63° posto nella graduatoria europea. C’è poi la Provincia autonoma di Trento all’81°, la Liguria è al 95°. Disastro al Sud: Puglia al 195° posto, Calabria al 197°, Molise alla casella 207 mentre la Sicilia è in quella seguente. E la Sardegna? Nella graduatoria europea occupa la posizione numero 122. I peggiori sono i siciliani, al numero 208.
È necessario intervenire subito. Ovvio, se la burocrazia lo permette.