L’occhio del più celebre fotografo del Novecento, l’occhio del secolo, su un’Italia in movimento. E dentro l’Italia in movimento, la Sardegna che sembra immobile con alcune immagini iconiche come quello della donna vestita di nero sulla spiaggia di Cala Gonone negli anni Sessanta. Il senso profondo della fotografia – capace di catturare nell’istante decisivo l’anima di una persona o di un Paese - in un’era segnata da un’overdose di immagini, scattata dagli smartphone o creata dall’intelligenza artificiale, illumina la mostra “Henry Cartier-Bresson e l’Italia” esposta fino al 2 giugno a Camera, il Centro italiano per la fotografia di Torino.

Nell’allestimento, curato da Clément Chéroux e Walter Guadagnini, 160 immagini, provenienti dall’archivio della Fondazione Henry Cartier Bresson di Parigi (e diversi documenti d’epoca) raccontano l’intenso rapporto tra il fotografo e un Paese che è stato al centro del suo interesse, in diversi viaggi e altrettanti reportage.

Un rapporto che inizia nel 1932 con il primo viaggio in compagnia in un amico poeta e della sua compagna. Cartier-Bresson, parigino di origine normanna e di famiglia benestante, aveva 24 anni e fino a quel momento i suoi studi si erano concentrati sulla pittura e in particolare su quel surrealismo che l’ha profondamente influenzato nella meticolosa ricerca della composizione perfetta tra luci e ombre. Come nello scatto – di quegli anni - di una piazza della Signoria a Firenze sospesa e immobile con sedie e tavoli vuoti.

Di grande impatto il secondo viaggio, all’inizio degli anni Cinquanta, che tocca anche l’Abruzzo e la Lucania con una serie di scatti che documentano vita quotidiana e trasformazioni sociali della regione. Tra gli scatti più celebri Matera con i suoi Sassi, il ritratto di Carlo Levi e una serie di fotografie di Scanno, la più celebre scattata nel 1951 è conservata nella collezione permanente del MoMa di New York. Nel frattempo aveva fondato l’Agenzia Magnum, un totem del fotogiornalismo di tutti i tempi e Oriana Fallaci nel 1952 gli dedicava un pezzo su Epoca che lo incoronava il re dei fotografi.

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I successivi viaggi tra gli anni Cinquanta e Sessanta quando quel giovane fotografo francese con l’inseparabile Leica da 35 mm è già il maestro Henry Cartier Bresson, il mito dell’obiettivo che lavora per le grandi riviste illustrate dell’epoca, Life, Harper’s Bazar, Vogue. C’è Roma – tra i ritratti popolari nelle strade, la religiosità e i personaggi del cinema e della cultura, Roberto Rossellini, Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti – c’è Venezia, Firenze e anche la Sardegna che visitò nel 1962 per un reportage commissionato da Vogue che lo portò a Cagliari, in Barbagia a Orgosolo, a Cala Gonone, a San Leonardo di Siete Fuentes a Orani, ospite di Costantino Nivola. Foto che sono state esposte una decina d’anni fa al Man di Nuoro.

Negli anni Settanta il ritorno a Matera e alcuni reportage dedicati alla realtà industriale del Paese dall’Alfa Romeo all’Olivetti, nello stabilimento di Pozzuoli. Cartier Bresson in realtà aveva già collaborato a fine anni Cinquanta con l’Olivetti per una campagna che aveva coinvolto i fotografi Magnum e che è oggetto di un’altra mostra al Museo civico Garda di Ivrea.

Henry Cartier Bresson (Foto Ansa)
Henry Cartier Bresson (Foto Ansa)
Henry Cartier Bresson (Foto Ansa)

Pezzo pregiato della mostra di Torino un documentario girato dalla Rai nel 1964 e recentemente restaurato. Cartier Bresson, secondo una regola aurea di molti fotografi, compare quasi sullo sfondo. Di spalle, di profilo, dietro un pilastro. L’intervista è di Romeo Martinez, storico della fotografia e all’epoca direttore della rivista Camera, i testi di Giorgio Bocca, la regia del poeta e cinesta Nelo Risi. Una testimonianza anche del ruolo svolto dal servizio pubblico del tempo nella produzione culturale di qualità. «C’è un momento in cui tutto si accorda, un solo momento» racconta Cartier Bresson. Quel momento in cui “l’occhio, la testa e il cuore sono sulla stessa linea di mira” e uno scatto è quanto di più vicino ci sia alla verità.

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