La notizia è che Joan Didion rivivrà sul grande schermo con il volto della 75enne Jessica Lange. È stata l’attrice di “Frances” e “Music box” ad annunciarlo in una recente intervista. Lange sarà la giornalista e saggista, scomparsa meno di tre anni fa, in un adattamento de “L’anno del pensiero magico”, l’opera autobiografica che Didion ha utilizzato per ripercorrere i mesi successivi alla morte del marito, lo scrittore Gregory Dunne, e, in un certo senso, per metabolizzare il lutto. «Un racconto preciso, candido e penetrante, un ritratto indelebile della perdita e del lutto», il passaggio di una recensione del New York Times. «L’opera che meglio ha saputo raccontare il lutto e il dolore, toccando ferite ancora pulsanti, aprendone di nuove sulla pagina», si legge nella quarta di copertina dell’edizione italiana de Il Saggiatore.

L’anno magico è il 2004. Dunne muore all’improvviso il 30 dicembre 2003. Da quella data comincia un periodo in cui tutto viene riconsiderato: la malattia (a Dunne venne un infarto, si poteva evitare?), la possibilità stessa che l’uomo sposato quarant’anni prima possa in realtà ritornare. «Era la normalità di tutte le cose che avevano preceduto il fatto a impedirmi di credere che fosse veramente accaduto, a impedirmi di assorbirlo, di incorporarlo, di superarlo», scrive Didion nelle prime pagine. Un giorno, racconta, un amico le chiede se non sia il caso di liberarsi dei vestiti e delle scarpe del marito. «E se torna?», si ritrova a rispondere. Per un intero anno «Joan Didion vive in un limbo», scrive la giornalista Michela Marzano, «come se - e queste sono parole della scrittrice - i pensieri o i desideri avessero il potere di rovesciare la storia dei fatti». E ancora Marzano: «Didion racconta il dolore con precisione chirurgica e senza alcuna retorica. Ci porta con lei nel susseguirsi dei fatti, descritto minuziosamente». Come se la cosa riguardasse qualcun altro.

“L’anno del pensiero magico” è stato già adattato una volta, ma per il teatro. In quel caso fu Vanessa Redgrave, nel 2007, a dare il volto alla scrittrice a Broadway. Quando Dunne morì, sua moglie aveva 70 anni e oggi la scelta di Jessica Lange, una delle migliori attrici della sua generazione, pare azzeccata.
Molti considerano il pensiero magico l’opera più importante di Didion. Di certo è quella che l’ha resa immortale tra gli scrittori, facendole ottenere nel 2005 il National Book Award per la saggistica e proiettandola tra i finalisti per il Pulitzer. Ma Didion è anche e soprattutto molto altro. E’ “Verso Betlemme”, per esempio, raccolta di articoli e scritti tra il 1961 e il 1968, opera simbolo del New Journalism, espressione coniata da Tom Wolfe per descrivere uno stile da "romanzo-verità", che utilizza stili e tempi della letteratura per trattare storie e personaggi reali. Ed è sicuramente “The White album”, un’altra raccolta. “The White album” è bellissimo. E’ qui che Joan Didion racconta degli anni trascorsi nella casa di Franklin Avenue a Los Angeles, nella «parte di Hollywood che un tempo era stata esclusiva e adesso veniva descritta da una delle mie conoscenze come un quartiere di omicidi insensati». Sono gli anni dell’assassinio di Sharon Tate Polanski a Bel Air, gli anni dei Doors, che Didion intervistò. La grande casa di Franklin Avenue dove Didion viveva col marito e la figlia adottiva Quintana era frequentatissima: «Sembrava che molta gente andasse e venisse senza alcun rapporto con quello che facevo. Sapevo dov’erano asciugamani e lenzuola, ma non sempre sapevo chi dormiva in ciascun letto». Una volta, rivela in “The White Album”, «qualcuno portò Janis Loplin a una festa nella casa di Franklin Avenue: lei aveva dato un concerto e voleva brandy e Benedectine in un normale bicchiere per l’acqua. I musicisti non volevano mai i soliti drink». Fu la festa, racconta la scrittrice nel documentario girato dal nipote Griffin Dunne “Il centro non reggerà”, più grande che abbiamo mai data in quella casa.

© Riproduzione riservata