La vicenda di Tortolì ci porta a riflettere sulla protezione di chi denuncia il marito o l’ex.  La donna doveva essere protetta? Da chi? Nel 2018 la Corte europea dei diritti dell’uomo lo ha detto chiaro: lo Stato. E lo ha detto motivando la condanna dell’Italia - ed è stata la prima volta -  che non ha saputo garantire adeguata protezione a una donna rumena. Quest’ultima viveva in Italia ed era sposata con un suo connazionale che aveva assassinato il figlio adottivo diciannovenne: il ragazzo aveva cercato di salvarla mentre lui tentava di ammazzarla. La fotocopia della storia di Tortolì.

Da sottolineare: la condanna al risarcimento è arrivata nonostante la donna avesse ritrattato le denunce cercando di giustificare i comportamenti aggressivi dell’uomo (che non è stato mai arrestato) col fatto che bevesse alcolici. Il marito la picchiava e la umiliava. Una volta, con la minaccia di un coltello, l’aveva costretta a uscire  per andare dai suoi amici ai quali l’avrebbe “passata di mano in mano”. La donna era riuscita ad attirare l’attenzione di una pattuglia della Polizia. A quel punto aveva presentato denuncia raccontando anni di vessazioni e aggressioni. La polizia giudiziaria, intenzionata a chiedere una misura cautelare nei confronti di quell’uomo violento, andò a interrogare la moglie che però, come spesso accade, ridimensionò le precedenti dichiarazioni assicurando che il coniuge era un buon marito e un buon padre: il suo unico problema era l’alcol. La situazione familiare, insomma, era tranquilla e lei non era in pericolo. Il pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione delle accuse di maltrattamenti, minaccia aggravata e lesioni aggravate dall’uso del coltello.  Erano rimaste solo le lesioni semplici per le quali aveva invece chiesto il rinvio a giudizio. Poche ore dopo la notifica per l’udienza davanti al Giudice di pace la donna aveva chiamato il 118: erano arrivati i carabinieri che avevano trovato la porta della camera da letto della moglie scardinata e il marito ubriaco. Lo avevano accompagnato in ospedale dal quale si era però  allontanato. Alle due di notte era stato fermato in una sala scommesse e multato per ubriachezza. Tornato a casa alle cinque del mattino aveva ferito gravemente la moglie e accoltellato a morte il figlio intervenuto in difesa della madre.

L’uomo era statao arrestato, processato e condannato.

Nel frattempo la donna si era rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo: appellandosi all’articolo 34 aveva denunciato il venir meno delle autorità italiane dai loro doveri di protezione contro le violenze domestiche.

La Cedu le ha dato ragione: l’Italia aveva violato in almeno tre parti la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, a cominciare dall’articolo 2 che tutela il diritto alla vita, non solo per l’uccisione del figlio ma anche per il tentato omicidio della moglie. Secondo la Corte lo Stato ha l’obbligo positivo di adottare misure preventive in grado di proteggere la vita delle persone che sono sottoposte alla sua giurisdizione, e ciò anche quando la minaccia può arrivare da terze persone. Le autorità italiane invece non hanno adeguatamente protetto la donna non avendo posto in essere nessuna misura preventiva a seguito della denuncia e avendo tardato ad avviare indagini approfondite insieme a una valutazione concreta dei rischi che la situazione comportava.

E ancora, la Cedu ha stabilito che nei procedimenti giudiziari relativi a casi di violenza contro le donne la autorità nazionali sono tenute a prendere debitamente in considerazione la vulnerabilità e l’insicurezza morale e materiale della vittima per valutare la situazione. Infine, il mancato rispetto, anche se involontario, da parte dello Stato dell’obbligo di proteggere le donne contro la violenza domestica costituisce una violazione del diritto di queste a una pari tutela da parte della legge. Quindi la donna può dichiararsi vittima di una discriminazione basata sul sesso ai sensi dell’articolo 14 della convenzione.

Infine, c’è un passaggio della sentenza in cui si dice espressamente che  “i dati, tra l’altro non contestati dall’Italia nel processo, dimostrerebbero l’inefficacia delle riforme sostanziali poste in essere negli ultimi anni, considerato sia il numero di donne uccise da partner attuali o precedenti sia la grave e diffusa tolleranza socio-culturale della violenza domestica”.

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