Senza esagerare, è stato un film che gli ha segnato la vita. «Avevo vent’anni e un incarico di prima nomina per la cattedra di educazione artistica alle scuole medie. Potevo scegliere perché ero tra i pochi docenti con l’abilitazione. Mi dissero: o Nuoro o Orgosolo. Scelsi Orgosolo. Avevo visto il film di Vittorio De Seta e ho pensato: su, andiamo a vedere se è tutto davvero così». Toscano di Siena, classe 1944, Francesco Del Casino arrivò nel 1963 e qui - nel paese dove poi si è sposato con Francesca Davoli nel ’72 e dove ha battezzato il primo dei murales oggi conosciuti in tutto il mondo - poté vedere coi propri occhi che «era tutto davvero così: la vita dura dei pastori e il fatto che potevano finire nei guai con la giustizia pur senza alcuna colpa».

A sessant’anni dall’uscita del film, mentre in Sardegna la ricorrenza viene ricordata con una mostra fotografica - "Abissi di silenzio. Immagini dal film Banditi a Orgosolo, Vittorio De Seta, 1961", a cura di Antioco Floris e Antonello Zanda, prodotta dalla Società Umanitaria-Cineteca Sarda su un progetto dell’Università di Cagliari e promossa in collaborazione con l’Istituto Etnografico e la Fondazione di Sardegna (a Cagliari fino al 30 giugno e a Nuoro dal 9 luglio al 15 agosto) - dalla casa in Toscana Francesco Del Casino ricorda l’opera e il regista (scomparso dieci anni fa) che hanno segnato la sua personale sliding doors, la porta scorrevole che gli ha cambiato il destino. «Un film eccellente. Andai a vederlo non appena arrivò al cinema e ricordo che mi impressionò molto, anche se a Siena non ebbe alcun successo: in due giorni di programmazione l’abbiamo visto in venti».

Che cosa la colpì?

«Mi aveva impressionato moltissimo questo mondo pastorale che io non conoscevo. Ma, d’altronde, nel 1961 non si sapeva niente della Sardegna. Forse nel Continente qualcuno sapeva dei nuraghi, ma figurarsi, non c’era ancora neppure la Costa Smeralda. Quando uno andava in Sardegna ci andava per punizione».

E così, quando nel’63 ebbe la possibilità di scegliere tra la cattedra a Nuoro o a Orgosolo, non ebbe dubbi.

«Se devo andare in Sardegna, mi dissi, vado in un posto che voglio scoprire ed effettivamente trovai questo luogo molto aderente alla storia raccontata nel film».

Ricorda i giorni dopo il suo arrivo?

«Andai a pensione nell’unica trattoria del paese. Si poteva mangiare e dormire da Umberto Goddi, l’inventore del Petit Hotel. C’erano due stanzette sopra il suo negozio da barbiere. Diventammo molto amici. Umberto, che aveva collaborato con De Seta, mi fece conoscere nel giro di pochi giorni tutti gli attori del film, gente del luogo, e mi fece leggere Franco Cagnetta (l’antropologo autore del saggio Inchiesta su Orgosolo del 1954, ndr) che non conoscevo».

Insomma, concluse che nel film non c’era alcuna finzione.

«Cominciai a ricevere inviti, entrai nelle case, ascoltavo le storie. Mi sembrò che tutto corrispondesse. Veramente Vittorio De Seta aveva fatto un lavoro straordinario. Aveva questi attori non professionisti che improvvisavano, nessuna sceneggiatura e appena un canovaccio tracciato a grandi linee. Ne è uscito un film potentissimo, sincero come un documentario».

A quel tempo Orgosolo era una meta per tanti...

«Arrivavano molti turisti tedeschi, francesi, inglesi, tutti spinti dalla stessa curiosità che avevo provato io. C’erano anche fotografi, antropologi, registi, scrittori che passavano di lì e s’innamoravano del paese. Erano di casa Edouard Vincent, Franco Pinna, Carlo Levi e molti altri. Il film di De Seta ha contribuito a dare il via a un turismo culturale di grande livello».

L’epica del banditismo deve pur aver fatto la sua parte.

«Credo non più di tanto, e se sì, solo per valutare le contraddizioni raccontate nel film. Ho sentito un’intervista a Giovanni Congiargiu, ch’era stato un attore nel film. Diceva: De Seta ci ha raccontato come la gente che siamo: ci ha fatto conoscere non più come banditi ma come cittadini italiani. Gente onesta, lavoratrice. Gente che poteva stare in mezzo agli altri».

Oggi com’è Orgosolo?

«È quasi irriconoscibile. È diventato un paese zeppo di turisti, anche troppi secondo me, ed è arrivato come ovunque il consumismo, questa brutta malattia dei nostri tempi».

I turisti arrivano anche per vedere e fotografare i murales. Fu lei a ideare il primo, no?

«Nel 1975, per il trentesimo anniversario della Resistenza, il ministero della pubblica istruzione diffuse una circolare per invitare le scuole a lavorare su questo tema. I nostri alunni prepararono duecento manifesti stampati col ciclostile che attaccammo lungo le vie. Sicché ci siamo detti: perché non facciamo un murale? È cominciata così. Però posso dire una cosa?».

Prego.

«Penso che chiunque vada a Orgosolo debba conoscere il film di De Seta. Purtroppo tanta gente non l’ha mai visto. È una mancanza perché un paese è fatto anche della sua storia e il film rappresenta bene una vicenda tipo degli anni ’50. C’è anche un’altra cosa che mi dispiace: il centro di documentazione dedicato al regista, un piccolo museo, è sempre chiuso. Forse è un problema di gestione o forse non c’è la volontà di tenerlo aperto. In ogni caso, un peccato».

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