Il lavoro domestico fa crescere il Pil: 30,2 addetti ogni mille sardi
Il settore genera ricchezza, in un anno 16,2 miliardi di euroÈ un segmento del mercato del lavoro che richiama tante braccia. Sicuramente bisogna essere capaci, se non proprio specializzati, per proporre la propria candidatura come lavoratore domestico, una figura che è andata sempre più affinandosi negli anni fino ad affermarsi con tratti distintivi che ne fanno un vero professionista nella cura della casa, in molti casi una presenza di importanza vitale per il funzionamento della vita familiare. Al di là del rapporto di lavoro subordinato che ne deriva tra chi effettua le prestazioni e chi le riceve, quello domestico è un lavoro ormai diffuso su tutta la Penisola, che cambia di regione in regione adattandosi alle peculiarità socio-economiche del territorio, diversificandosi ed evolvendosi diversamente in ciascuna area del Paese. A puntare un faro su questa mansione è il III Rapporto annuale sul lavoro domestico, a cura dell’Osservatorio Domina, l'associazione nazionale che assiste le famiglie dei datori di lavoro nel gestire il rapporto con colf e badanti.
I dati
Così si scopre un settore che genera ricchezza nel Paese. Il lavoro domestico contribuisce complessivamente a produrre oltre un punto del Pil italiano (16,2 miliardi nel 2020) anche se tale valore non è uniforme sul territorio: in cinque regioni si concentra quasi il 60% del valore aggiunto (il 21,7% in Lombardia e il 14,6% nel Lazio). La diversità deriva, evidenzia Domina, dalla diversa concentrazione di lavoratori: se mediamente in Italia si contano 15,5 lavoratori domestici ogni mille abitanti, i valori più alti si registrano in Sardegna (30,2 per 1.000 abitanti), Umbria (22,7) e Lazio (22,2). L’età media dei lavoratori domestici è di 48,9 anni, anche se i lavoratori sotto i 19 anni di età sono ben 1.586. I lavoratori più giovani si registrano in Calabria e Sicilia (età media 46,8 anni), mentre si caratterizzano per un’età più avanzata il Friuli Venezia Giulia (51,1), il Trentino Alto Adige (51) e l’Emilia Romagna (50,6).
La nazionalità
Per quanto riguarda la provenienza, a livello nazionale si registra una prevalenza di lavoratori domestici stranieri (68,8%); la componente più significativa è quella dell’Est Europa che arriva a rappresentare il 38,2% dei lavoratori domestici totali. I lavoratori dell’Est Europa sono maggiormente presenti nelle regioni del Nord Est dove, grazie anche alla vicinanza geografica, la percentuale arriva a toccare il 55%. I lavoratori domestici asiatici rappresentano invece il 15% dei lavoratori a livello nazionale, essi superano il 20% nelle regioni in cui è forte la presenza di colf, come il Lazio (25,8%), Sicilia (22,3%), Campania (20,9%) e Lombardia (20,4%). Sono più di 66 mila i lavoratori domestici che provengono dal Sud America e, pur rappresentando a livello nazionale il 7,2% del totale dei lavoratori, arrivano al 24% in Liguria e al 15% in Lombardia. I 57mila lavoratori che provengono dall’Africa rappresentano il 6,2% a livello nazionale, ma raggiungono l’11,6% in Sicilia.
Domestici italiani
Tra le regioni con più italiani, invece, oltre alla Sardegna, in cui oltre l’80% dei lavoratori domestici è italiano, la componente autoctona rappresenta più della metà del totale anche in Molise (59,1%), Puglia (53,2%) e Basilicata (51,1%). Le motivazioni sono in parte derivanti dal capitale umano presente nel territorio; secondo l'indagine solo il 3,2% dei residenti in Sardegna ha cittadinanza straniera, valore simile anche per la Puglia (3,4%). Regioni come l’Emilia Romagna e la Lombardia arrivano al 12% di stranieri residenti sulla popolazione complessiva. Inoltre, ciò è dovuto anche alle reali opportunità di lavoro della regione: se nelle regioni del Nord e del Centro l’incidenza dei lavoratori domestici italiani è intorno al 25%, nelle regioni del Sud arriva al 54%. È infatti la mancanza di lavoro porta a scegliere questa professione: al Sud il tasso di disoccupazione è pari al 15,9%, mentre al Centro arriva solo al 8,0% ed al Nord si abbassa ulteriormente al 5,8%.
Anche uomini
Sebbene il lavoro domestico sia storicamente identificato con il genere femminile, nel 2020 sono oltre 114mila i domestici uomini che rappresentano il 12,4% dei lavoratori totali. Negli anni questa componente è diminuita, ha avuto il suo picco storico nel 2012 (192mila), probabilmente a causa della “sanatoria”, e poi è andata via via riducendosi fino al 2020, anno in cui è nuovamente aumentata. La presenza maschile è poco presente al Nord (11,3%) ed è maggiormente presente nelle regioni del Centro (12,7%) e soprattutto al Sud (14,4%). In particolare, la Sicilia registra la maggiore percentuale di uomini (22,4%), seguita dalla Campania (18,1%) e dalla Calabria (15,7%). Di contro, è decisamente minoritaria la presenza maschile in Valle d’Aosta (6,1%). A Palermo il numero di domestici arriva al 28,4%, a Messina al 26,7% ed a Napoli al 23,0%.
Assistenza in famiglia
Osservando gli scenari demografici Istat, la popolazione con almeno 80 anni passerà dagli attuali 4,4 milioni ad oltre 7,6 milioni nel 2050 (+73,0%), passando dal 7,4% al 14,1% della popolazione. Questo determinerà, inevitabilmente, un maggiore fabbisogno di assistenza e cura e, quindi, di lavoratori domestici, in particolare “badanti”. Le province che vedranno crescere maggiormente la popolazione over 80 saranno Caserta, Napoli, Olbia, Barletta e Cagliari, tutte con una presenza di ultraottantenni più che raddoppiata in meno di 30 anni. Secondo Lorenzo Gasparrini, segretario Generale di Domina, «le peculiarità del territorio legate al lavoro domestico non solo fotografano la grande diversità delle regioni, ma rappresentano il risultato di diverse culture e possibilità economiche. Le schede regionali presentate nel Rapporto consentono quindi di conoscere meglio le peculiarità del lavoro domestico e del sistema socio-economico complessivo – sottolinea Gasparrini - questo diventa quindi uno strumento utile anche per il decisore politico, locale e nazionale, per poter definire politiche del lavoro e della famiglia basate su dati reali».