Dieci mesi dopo l’ultima richiesta di archiviazione dell’indagine sulla morte di don Antonio Pittau, parroco della cattedrale di Cagliari trovato senza vita sul fondo di una scarpata lungo la Statale 125 all’alba del 23 dicembre 1988, e a distanza di nove anni dal ricorso dell’avvocato Alfonso Olla, la Cassazione nel dicembre 2016 annulla la decisione del pm e rimanda le carte alla Procura. Due i rilievi mossi ai magistrati cagliaritani: al momento di firmare e inoltrare la richiesta di archiviazione dovevano avvisare la famiglia del parroco (passo non compiuto) e, nell’accogliere la domanda, spiegare il perché (non era stato fatto).

Il Palazzo di giustizia di Cagliari
Il Palazzo di giustizia di Cagliari

Il Palazzo di giustizia di Cagliari

«Indagate ancora»

Ma devono passare altri undici mesi perché accada qualcosa. Nel novembre 2017 è la giudice delle indagini preliminari Lucia Perra a ordinare di indagare ancora sul mistero e indicare come muoversi. La giudice ricorda che alle 22 del 22 dicembre 1988 don Eugenio Porcu, a sua volta parroco della cattedrale dall’11 agosto 1995 al primo luglio 1997, aveva ricevuto una telefonata preoccupante da una donna che gli aveva fatto sapere che avevano «ucciso» don Antonio Pittau e di aver avuto la notizia alle 16,40 da una suora della scuola materna di via Lamarmora appartenente alla “Congregazione delle Ancelle della Sacra Famiglia”. La confidente ne era venuta a conoscenza, così aveva rivelato, mentre si trovava assieme alla religiosa e «ad altre due o tre persone nella sala d’attesa di un medico». Il sacerdote in effetti era morto, ma ancora nessuno poteva saperlo perché il cadavere era stato trovato «solamente il giorno successivo, il 23 dicembre». Il decesso quindi «era stato scoperto» 24 ore dopo «rispetto alle dichiarazioni fatte dalla suora». Qualcosa non torna, è chiaro.

Omicidio

Così la gip ipotizza il reato di omicidio (senza indagati) e impone agli inquirenti di convocare e ascoltare la versione della donna che aveva chiamato don Porcu e della suora che le aveva dato la notizia. Un compito da eseguire «entro sei mesi» e «necessario» per capire se dietro la fine del parroco vi sia un delitto oppure un disgraziato incidente stradale. Superfluo invece riesumare il cadavere. Per i parenti della vittima e gli avvocati Olla e Susanna Deiana, che nel frattempo ha affiancato l’esperto penalista, si ravvivano le speranze di scoprire la verità. Invece.

La cattedrale di Cagliari a Castello
La cattedrale di Cagliari a Castello

La cattedrale di Cagliari a Castello

Invece la donna che disse di aver saputo dell’omicidio parroco è morta 10 anni prima, e la suora che le aveva fatto la confidenza in un ambulatorio in via Lamarmora è introvabile: ha lasciato da tempo la “Congregazione delle Ancelle della Sacra Famiglia” della quale faceva parte. Così le uniche due strade che, forse, possono essere seguite per far luce su un mistero ultra decennale si rivelano senza uscita. E nel gennaio 2018 il pm chiede nuovamente l’archiviazione del fascicolo: impossibile accertare la sussistenza di un eventuale assassinio. L’ultimo capitolo della vicenda si chiude con l’ennesimo nulla di fatto.

La lettera dal passato

Ma in questa storia costellata di misteri e dubbi, non può mancare un’ulteriore appendice. Nel maggio del 2019 in Procura a Cagliari arriva una lettera dal contenuto sconcertante. L’ha spedita e firmata un uomo che sostiene di vivere a Casablanca, in Marocco, e di voler «pagare il debito» con la giustizia per un vecchio fatto: l’omicidio di una donna di 72enne commesso a Cagliari, in piazza Granatieri di Sardegna, il 25 febbraio 1993. Chi scrive è la stessa persona in passato salita alla ribalta della cronaca anche per il suo presunto coinvolgimento nella scomparsa del parroco della cattedrale.

Don Antonio Pittau
Don Antonio Pittau

Don Antonio Pittau

L’anziana pensionata era stata massacrata con calci e pugni e sbattuta violentemente a terra ma la responsabile era stata individuata nella figlia, che poi aveva trascorso 10 anni in un ospedale psichiatrico in quanto incapace di intendere e volere. Però l’autore della missiva sostiene di non voler più «portarmi dietro questo peso, vivere con questa bugia», e suggerisce agli inquirenti di mandare «una richiesta al mio Paese» per poter «tornare in Italia» ed essere «in poche ore a Cagliari». Era stato lui, sostiene, a strangolare, legare e accoltellare la vittima, lasciandola però viva in casa con un amico slavo (i due volevano chiedere alla figlia della donna un aiuto per vendere 5 chili di hascisc), poi di essere uscito e di averla trovata morta al suo rientro. Dichiarazioni ritenute molto dubbie dai pm: perché solo allora la rivelazione? E perché la necessità di una richiesta formale per rientrare in Italia? Cosa gli impedisce di farlo da solo? Nella comunicazione, il nordafricano aggiunge di essere stato condannato per aver provocato gravi ustioni all’allora moglie con l’olio bollente (episodio di metà anni Ottanta a Decimomannu) e addirittura, trasferitosi in continente, di essere stato condannato a 25 anni e 5 mesi per aver ucciso la seconda consorte.

Il battesimo

Proprio tra questi due episodi sarebbe stato protagonista della scomparsa di don Pittau. Il “reo confesso” era entrato in questa vicenda nella veste di indagato prima e di testimone poi. Tra le diverse ipotesi vagliate allora dalla Procura per trovare un movente del possibile omicidio ci furono quelle su presunte pratiche sessuali proibite in chiesa e un battesimo cattolico non gradito dal genitore (musulmano) del bimbo. In quest’ultimo caso la cerimonia si era tenuta alle 9,30 del 22 dicembre 1988, poche ore prima che il parroco lasciasse la cattedrale (alle 15) e sparisse. L’autore della lettera inviata alla Procura è il padre del neonato. Qualcuno aveva detto avesse preso molto male il battesimo (nell’occasione era rimasto in fondo alla chiesa) e volesse vendicarsi. Ma era stato indagato e poi prosciolto: nessuna prova. Lui stesso subito dopo aveva indicato agli inquirenti un’altra strada, sostenendo che don Pittau fosse stato ucciso per aver scoperto comportamenti immorali tra le sacre mura. Altra ipotesi rivelatasi inconsistente.

Caso chiuso

La missiva sfocia nell’apertura di un fascicolo contro ignoti, ma è necessario sentire il diretto interessato. Non si riesce farlo. Anche la figlia della vittima, rintracciata, non è più in grado di parlare della vicenda. Conseguenza: caso chiuso. Ancora una volta. Forse davvero l’ultima.

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