Maestosi e superbi, degni di ammirazione e tutela. Sono i patriarchi verdi della Sardegna. Tra i monumenti primeggia l’olivastro di Santu Baltolu di Carana a Luras, l’albero più vecchio d’Italia e tra i più longevi d’Europa e del mondo. Un altro gioiello molto noto è il pino che troneggia nel compendio di Garibaldi a Caprera. Entrambi sono tra i 405 alberi monumentali dell’Isola, censiti dal ministero delle Politiche agricole, per i loro pregi straordinari.

L’olivastro di Luras, a 228 metri di quota, è alto 14 metri e ha una circonferenza di circa 19 metri alla base del tronco. La sua chioma ricopre una superficie di 600 metri quadrati. Le dimensioni sono il punto forte assieme all’età davvero da primato visto che questo esemplare di Olea europaea è tra gli alberi più antichi del mondo: secondo le stime supera i tremila e potrebbe arrivare a quattromila anni. Una longevità certificata dall’università di Sassari che calcola un’età compresa tra i 2500 e i 4 mila anni. Questo ulivo selvatico già nel 1991 viene dichiarato monumento naturale, promosso nella lista dei “venti alberi secolari italiani” fino a essere proclamato monumento nazionale con decreto ministeriale. Per questo “patriarca della natura”, fiore all’occhiello di un’area che ospita altri esemplari di grande pregio, si prospetta un ulteriore prestigioso traguardo visto che la Regione vorrebbe proporre il riconoscimento come patrimonio dell’Unesco. «Gli ulivi secolari possono diventare i protagonisti di un segmento di turismo, quello naturalistico e culturale, che può affiancare e completare l’offerta turistica della Sardegna», ha detto l’assessore regionale all’Ambiente Gianni Lampis durante una recente visita al sito naturalistico di Santu Baltolu. Per la valorizzazione del sito Luras è destinatario di un finanziamento di 150 mila euro.

Il pino di Garibaldi a Caprera
Il pino di Garibaldi a Caprera
Il pino di Garibaldi a Caprera

Il pino di Garibaldi è un esemplare alto dieci metri, posto a 39 metri dal livello del mare. Il suo particolare interesse pubblico non è solo legato alle dimensioni imponenti e all’età, ma anche alla storia e alla valenza culturale, associate all’eroe dei Due Mondi. Era il 16 febbraio del 1867 quando Giuseppe Garibaldi, che allora aveva sessant’anni ed era al suo terzo matrimonio, mise a dimora quella pianta nel cortile davanti alla sua casa per onorare la nascita della figlia Clelia che lì visse fino alla morte.

Tutti gli alberi monumentali, pur in gran parte poco conosciuti, rappresentano storia e orgoglio di tanti territori dell’Isola, a iniziare dall’Ogliastra che con 125 piante ha il primato sardo. Poi ci sono Cagliari con 78 esemplari censiti, Sassari con 58, Nuoro con 48, Oristano con 35, Medio Campidano con 25, Carbonia-Iglesias con 22, Gallura con 14. Per il Centro studi agricoli rappresentano il 10 per cento del totale nazionale. «Questo è un grande patrimonio per la Sardegna che andrebbe fortemente promosso ai fini turistici e anche di studio», ha commentato Tore Piana, presidente del Centro studi agricoli.

Seui è il Comune che può fregiarsi di avere più piante monumentali, ovvero 29, a quota 24 Illorai. Tra le varietà figurano lecci, tassi, agrifogli, roverelle, corbezzoli, olivi; ginepro, agrifoglio, sambuco, pero selvatico, cipresso, carpino. Anche la magnolia di piazza Badas di Cagliari, unico proposto in Sardegna come interesse pubblico, il cipresso di Monterey a Mandra di La Giua a Sassari, “l’alburu di la rasgioni” (albero della ragione-giustizia) di Luogosanto, un leccio secolare sotto le cui chiome un tempo si radunavano le mandrie per la mungitura e i vecchi degli stazzi dirimevano le controversie.

Leccio secolare di Luogosanto
Leccio secolare di Luogosanto
Leccio secolare di Luogosanto

Tutti i 405 alberi monumentali della Sardegna stanno nell’elenco nazionale aggiornato dal ministero con un decreto del 26 luglio 2022: registra 401 new entry e colleziona la bellezza di 4.006 specie. L’elenco raccoglie alberi con ampio ventaglio di peculiarità: valore biologico ed ecologico, età, dimensioni, morfologia, rarità della specie o habitat per alcuni animali, importanza storica, culturale o religiosa, la capacità di caratterizzare il paesaggio dal punto di vista estetico e identitario.

Il censimento è periodico perché accanto a nuove registrazioni bisogna mettere in conto la perdita di alcuni esemplari per morte naturale, abbattimenti o per il venir meno dei requisiti dovuti al deperimento strutturale e fisiologico. Il trend numerico comunque è rincuorante. Il primo elenco nazionale, adottato con decreto ministeriale nel 2017, mette assieme 2.407 alberi. Nel 2018 arrivano 332 nuove iscrizioni che nel 2019 diventano 509; nel 2020 l’elenco si allarga ad altri 379 alberi, nel 2021 a ulteriori 115. Le piante censite hanno di fatto un riconoscimento ufficiale di tutela e conservazione. La varietà è enorme: dal castagno dei Cento cavalli a Catania con un’età stimata intorno ai 3 mila anni, secondo albero d’Italia dopo “S’ozzastru” di Santu Baltolu a Luras, alla quercia delle streghe di Capannori a Lucca, che ha circa 600 anni ed è celebre perché Collodi si sarebbe ispirato proprio a questo esemplare per descrivere l’albero dove Pinocchio nasconde i cinque zecchini d’oro di Mangiafuoco, fino al cedro del Libano di villa Mirabello a Varese, messo a dimora nel 1859.

Allargando lo sguardo oltre i confini nazionali tra i giganti verdi da primato ci sono gli olivi dell’orto del Getsemani in Israele, di circa 900 anni, la sequoia Generale Sherman in California di 2500 anni con un volume di 1440 metri cubi, le foreste di Eucaliptus regnans in Australia, alberi plurisecolari alti fino a 110 metri.​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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