Vittorio Emanuele II lo chiamava “la ca’ d’preive”, la casa dei preti, e se avesse potuto scegliere non sarebbe andato ad abitare al Quirinale. Invece il Consiglio dei ministri del Regno d’Italia decise che quella doveva essere la dimora ufficiale dei Savoia, la reggia ch’era stata dei Papi per quasi tre secoli abbandonata in tutta fretta da Pio IX che sul re usurpatore lanciò una maledizione. Al primo sovrano d’Italia, Roma non piaceva perché era la città del pontefice e perché tutte le cerimonie di corte venivano boicottate dall’aristocrazia nera, fedele al Papa. Sicché, quando non era a caccia di cinghiali o di giovani donne, re Vittorio Emanuele preferiva stare nella tenuta di Villa Savoia, sulla Salaria, o rifugiarsi nella magione sulla Nomentana acquistata per la sua ex amante Rosa Vercellana, alla quale si era legato con nozze morganatiche nel 1869.

Sulla torre del Quirinale il tricolore con lo stemma sabaudo cominciò a garrire nel novembre 1870, ma la famiglia reale arrivò nel gennaio dell’anno dopo. Fu la principessa Margherita, nuora del sovrano, a trasformare in una vera reggia il palazzo abitato dai Savoia. Non avrebbe certo potuto farlo il re, che non sopportava i riti di corte (durante i banchetti ufficiali non toccava cibo e se ne stava impettito finché non trovava il modo per scappar via dalla bella Rosina) e che, per la verità, pagava l’assenza di una regina al suo fianco. La moglie, Maria Adelaide d’Asburgo Lorena, era morta nel 1855. Era stata dunque regina di Sardegna ma non regina d’Italia.

Margherita, prima ancora che Umberto salisse al trono, colmò da subito il vuoto di rappresentanza accanto a re Vittorio. Una volta la settimana riceveva gli artisti, gli scrittori, i poeti, i musicisti, organizzava concerti per pianoforte, ricevimenti e serate danzanti che convinsero ben presto anche i Colonna, i Ruspoli, i Caetani e tutta la nobiltà nera.

Quando nel gennaio del 1878, dopo la morte di re Vittorio, divenne la prima regina d’Italia, dovette aggiungere solo il diadema reale alla considerazione di cui già godeva presso l’aristocazia e il popolo. Dimostrò negli anni a venire, come sovrana prima e come regina madre poi, la sua inclinazione reazionaria e la natura bigotta, ma ciò non scalfì mai l’ascendente che aveva sulla maggioranza degli italiani.

Lo splendore del Quirinale si spense nell’estate del 1900, dopo la morte di re Umberto I, ucciso con una pistolettata al cuore dall’anarchico Gaetano Bresci durante una manifestazione pubblica. Era luglio, il 29, e i sovrani da dieci giorni stavano trascorrendo le loro vacanze nella residenza estiva di Monza. Da quel momento i nuovi inquilini del Quirinale saranno Vittorio Emanuele III (che pronuncerà il discorso della Corona l’11 agosto) ed Elena di Montenegro. Margherita (che nel frattempo si era trasferita a Palazzo Boncompagni Ludovisi) non amava la nuora, così troppo diversa da lei per temperamento, carattere e abitudini. In perfetto accordo col marito, la nuova sovrana impose da subito uno stile sobrio e riservato, niente lussi, nessuno sperpero. Impegni ufficiali a parte, Elena e Vittorio Emanuele amavano il tranquillo tran tran di una vita borghese e per questo, nel 1904, acquistarono Villa Ada, sulla via Salaria, una casa, scrisse la giornalista Flora Antonioni, «appena sufficiente a contenere, con modesto decoro e lasciando a ognuno un piccolo margine di libertà, la famiglia Savoia e la servitù».

Il Quirinale finì così per diventare presto un semplice luogo di rappresentanza, senza più le scintillanti luci dei banchetti e dei ricevimenti della fastosa epoca di Margherita. Durante la guerra, il 3 agosto 1915, la regina Elena trasformò il palazzo in ospedale militare con 275 posti letto destinati esclusivamente ai militari di truppa, i soldati figli del popolo, feriti e mutilati. Dall’inizio del conflitto, sino all’aprile del 1919, i soldati curati furono 2.648, e tra questi 1.831 grandi invalidi.

Con l’avvento del Fascismo, il Quirinale finì pian piano sullo sfondo e quando, dopo l’8 settembre 1943, i Savoia scapparono a Brindisi, venne custodito da un anziano impiegato della casa reale, l’ottantenne Vittorio De Santis, che si asserragliò all’interno e nascose quadri, arredi e suppellettili preziosi. I soldati tedeschi riuscirono a entrare ma portarono via giusto 2.479 bottiglie di vino.

Nel giugno del 1944, dopo l’ingresso degli alleati a Roma, fu il principe Umberto a riaprire le finestre del Quirinale. Ci restò due anni, fino al 13 giugno del ’46, quando - dopo il referendum che aveva sancito la vittoria della Repubblica - salì su un aereo diretto in Portogallo. Il re di maggio, con questo nome è passato alla Storia, andava in esilio.

Per i successivi due anni, però, fu come se il Quirinale fosse ancora la reggia dei Savoia. O quantomeno, dei fantasmi dei Savoia. Il fatto è che dal 1946 al 1948, Enrico De Nicola - inizialmente capo provvisorio dello Stato poi primo presidente della Repubblica - non volle farne la sua residenza. Grande giurista napoletano, e monarchico di ferro, disse che gli sembrava di profanare la casa ch’era stata dei Papi e dei re, ma tanto di questa ritrosia era in verità dovuta a uno stile tutto suo: rifiutò, per esempio, i 12 milioni di lire annui dell’appannaggio presidenziale, viaggiava sulla sua auto privata e si presentava alle cerimonie ufficiali col cappotto rivoltato.

Il Quirinale divenne la residenza del presidente della Repubblica con Luigi Einaudi, nel 1948. Non che lui ne fosse entusiasta, infatti avrebbe preferito continuare ad abitare nella sua villetta sulla Tuscolana con la moglie Ida Pellegrini e i tre figli. De Gasperi, però, premeva: «Bisogna dare un segnale agli italiani». Così, infine, il presidente si decise a traslocare e arrivò con tutta la famiglia. «Peccato - disse Donna Ida - proprio adesso che l’orto di casa mi stava dando le prime soddisfazioni».

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