“Auto, e se il motivo del crollo delle vendite fosse semplicemente perché costano troppo?”. Il titolo di un articolo pubblicato dal Corriere della Sera i primi di dicembre ha tolto il velo su una realtà banale che spiega le ragioni della crisi profonda del mercato automobilistico in tutta Europa e in Italia in particolare.

Se il nostro è l’unico Paese europeo nel quale i salari non sono cresciuti ma diminuiti rispetto al 1990, se il reddito medio in Sardegna è di 16.980 euro e il prezzo medio di un’auto è di 29mila euro è facile capire perché abbiamo il parco auto più vecchio in Italia (dieci anni, l’età media delle macchine che circolano sulle nostre strade), perché le auto usate vendute sono il doppio di quelle nuove (nonostante prezzi elevati) e, soprattutto, perché di macchine, al netto delle offerte delle concessionarie, se ne vendono sempre meno.

I dati più recenti sulle immatricolazioni diffusi da Anfia, l’Associazione nazionale filiera industria automobilistica, certificano un calo di un ulteriore punto percentuale rispetto al 2023: i dati positivi della prima parte dell’anno sono stati compensati dal crollo nel secondo semestre. 

Le vendite di auto a benzina aumentano del 2,9%, quelle delle auto diesel calano del 21,6%, rispettivamente con quote di mercato del 29,3% e del 13,9%. Le autovetture mild e full hybrid crescono del 10,1%, con una quota del 40%, quelle ricaricabili (Bev e Phev) hanno venduto il 12,7% in meno e hanno una quota del 7,4%.

Le utilitarie e superutilitarie hanno una quota di mercato del 33,5% (+3,8% rispetto allo stesso periodo del 2023). Il modello più venduto in Italia e nell’Isola rimane Fiat Panda. Le berline medie rappresentano il 10,1% del venduto, i Suv il 53,5%. 

Per capire quanto sia difficile oggi approcciarsi all’acquisto di un’auto nuova proviamo a pensare di comprare una Panda: è una tra le auto più economiche sul mercato e costa circa 16mila euro (nove anni fa ne costava 10mila e se è normale che il prezzo sia cresciuto, non lo è che non siano cresciute le retribuzioni). Chi volesse acquistarla a rate e non avesse la possibilità di dare un anticipo pagherebbe una quota di 322 euro al mese per cinque anni (calcolata con una finanziaria che applica un Tan del 7,14% e un Taeg: dell’8,51%). Poco più di un quinto dello stipendio medio mensile di un sardo. Sommando bollo, assicurazione, manutenzione e carburante il costo medio mensile sarebbe di circa 500 euro, un terzo della retribuzione netta.

Diverso è pensare di acquistare una vettura media che prima la middle class italiana (e sarda) poteva permettersi, seppure mettendo in conto almeno cinque anni di rate, e che oggi è semplicemente proibitiva perché occorre mettere in conto una spesa di 30-35mila euro e una quota mensile tra 550 e 600 euro (senza acconto). Ecco, allora, che si entra nel circuito perverso delle maxirate finali che se da un lato consente di accedere alla fascia di mercato più alta, quella media (che, appunto, non ci si potrebbe più permettere) dall’altro costringe a cambiare l’auto con più frequenza continuando a pagare rate per sempre. Anche perché chi decidesse di finanziare la maxi rata si troverebbe davanti condizioni al limite dell’impossibile, create proprio per indurre il consumatore a sostituire l’auto.

Ed ecco spiegata la ragione dei prezzi folli dell’usato. Le auto acquistate, o prese in leasing, vengono restituite al concessionario dopo tre o quattro anni e vengono reinserite nel mercato. In tanti le comprano perché costano un po’ meno di quelle nuove e, di solito, hanno le garanzie del concessionario. La grande richiesta – causata dai costi elevati del nuovo e, spesso, dalle lunghe attese per l’arrivo dell’auto di prima mano – ha fatto lievitare i prezzi che, spesso, differiscono dal nuovo del 15-20% anche per auto con tre anni e 50mila chilometri.

Ecco perché l’auto sta diventando un lusso. 

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