“Il vero perfetto è (…) colui del quale gli altri potrebbero per primi non notare la presenza, tanto poco il suo supremo sapere traspare all’esterno”. Così Alberto Ventura, fra i massimi islamologi accademici d’Europa, spentosi il 9 agosto a Cosenza, definiva il sapiente nell’universo del Sufismo, l’aspetto esoterico della religione musulmana.

Una frase che si attagliava perfettamente a lui. Non perché la sua presenza intellettuale passasse inosservata – tutt’altro, è vasto e ben riconosciuto a livello internazionale il suo impegno di ricercatore, docente, traduttore e divulgatore - ma per il suo stile sobrio e modesto, per la sua incredibile disponibilità a venire incontro all’interlocutore. Che si trattasse di studenti, di colleghi accademici, di giornalisti,  o di un pubblico generalista vasto e talvolta feroce che vedeva nell’Islam un nemico da combattere.

“Il professor Ventura era uno studioso raffinatissimo, dalla conoscenza profonda, e un docente magnetico. La sua esposizione era affascinante, la sua disponibilità umana illimitata”, ricorda oggi Nicola Melis, 52 anni,  docente di Storia e istituzioni dell’Africa mediterranea e del vicino Oriente all’Università di Cagliari e allievo di Ventura nel biennio 1991-92.  “è stato lui a suggerirmi il campo degli studi Ottomani. Tutta la mia formazione, ogni mia scelta lavorativa, l’ho condivisa con lui.  Ho perso un padre accademico e spirituale”.

Nato a Roma nel 1953, Ventura si laurea in Lingua e Letteratura Araba alla Sapienza nel 1977, allievo prediletto di Alessandro Bausani, il massimo islamologo e orientalista italiano dell’epoca.  A Cagliari arriva da ricercatore, nel 1984, con una fama consolidata dal lavoro all’Istituto per l’Oriente di Roma, una prestigiosa istituzione dove la storia e la cultura islamiche sono oggetto di ricerca sin dal 1921.

Nell’Istituto di Studi Africani e Orientali della Facoltà di Scienze politiche c’è un nucleo di giovani ricercatori e docenti che studia il mondo arabo, la sua storia e (dal 1966) la sua lingua. Tra questi Claudio Lojacono (con il quale Ventura ha  già scritto “Maometto in Europa” per Mondadori insieme a Giacomo Carretto), prima professore incaricato di Lingua araba e, successivamente, di Storia e istituzioni musulmane, e  Concetta Ferial Barresi,  che poi passeranno ad altri prestigiosi incarichi a Roma e Napoli. Lasciando comunque a Cagliari un piccolo e combattivo nucleo di studiosi che faranno strada.  

Ventura, che presto diventa professore associato, si distingue per l’orientamento dei suoi studi. Più che agli aspetti socio-economici o storico politici (che pure sono oggetto delle sue riflessioni)  è interessato alle istituzioni del mondo musulmano, al delicato intreccio fra teologia, mistica e diritto nell’ampio e diversificato universo che è la Terra dell’Islam, in senso proprio e figurato. Interessi che svilupperà nel corso di tutta la sua carriera: dal 1995  è titolare della cattedra di “Islamistica” all’Orientale di Napoli e poi anche direttore del Dipartimento di Studi Asiatici. Dal 2007 sarà docente di  Storia dei Paesi islamici all’Università della Calabria.

Il suo terreno d’elezione è il sufismo, ovvero l’aspetto esoterico, iniziatico dell’Islam.  In particolare quello che cresce nel cuore e nella mente al confine con le grandi religioni che l’Islam ha incontrato nelle sue espansioni, dall’Europa all’India.

Ventura ha raccontato, agli studiosi ma anche al grande pubblico, la figura del mistico persiano Al-Hallaj, il Cristo dell’Islam, crocefisso e incoronato di spine dai suoi stessi correligionari nell’anno 922 dell’Era cristiana per avere osato paragonarsi a Dio. “Ho visto il mio Signore  con l’occhio del mo cuore”, scrive Al-Hallaj e Ventura traduce. “Gli ho chiesto: Chi sei?, mi ha detto: tu”.

Ma non solo, ci fa conoscere  Shaykh Ahmad Sirhindi, mistico indiano del Punjab vissuto a cavallo fra il XVI e il XVII secolo nel Punjab. In India l’Islam è entrato sul filo della spada, ma ha saputo creare fertili intrecci con le tradizioni  nondualiste del subcontinente asiatico. “Alberto Ventura  - sottolinea Nicola Melis -  era uno specialista di incontri e di confronto, di riflessione. Le pratiche meditative della realizzazione spirituale hanno tratti comuni nelle diverse tradizioni. L’attenzione alla vicinanza fra il modo di interpretare la dimensione metafisica delle varie culture creava una sintesi che non era in conflitto”.

Nicola Melis, docente dell'Università di Cagliari  (foto concessa)
Nicola Melis, docente dell'Università di Cagliari  (foto concessa)
Nicola Melis, docente dell'Università di Cagliari (foto concessa)

Oltre che indiscusso erudito, curatore fra l’altro dell’ultima traduzione italiana del Corano pubblicata nel 2010 e donata anche a Ratzinger, il papa teologo, Alberto Ventura è stato un grande divulgatore. A suo agio nel pubblicare per la storica casa editrice cattolica  Morcelliana o per Adelphi come per l’editrice Mediterranea. Per anni è stato direttore della collana islamica di Mondadori. Era una colonna di Uomini e Profeti, la  trasmissione domenicale di Radio Tre. “ Non coltivava l’idea dell’accademia chiusa nella sua torre d’avorio”, ricorda il professor Melis. “Organizzava di continuo iniziative al di fuori università, dialogando senza risparmio con chiunque”.

Tre giorni dopo la morte di Alberto Ventura un 24enne di origine libanese  ha cercato di uccidere, nello Stato di New York, lo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie, spiegando poi di averlo fatto perché Rushdie  aveva offeso l’Islam nelle sue opere e lodando l’ayatollah Khomeini per aver esortato i “buoni musulmani” a ucciderlo. Un gesto che Alberto Ventura avrebbe condannato (magari argomentando contro la validità della fatwa) come per decenni ha condannato la violenza politica dei gruppi estremisti che l’Occidente, per paura e per ignoranza, ha identificato con l’intero Islam. Ricorda Melis: “Ventura avversava questo riduzionismo e si impegnava senza sosta per spiegare la profondità e la complessità di una cultura millenaria che raccoglie oltre un miliardo di fedeli in tutto il mondo”.

Con il collega islamologo francese Olivier Roy ha piuttosto sottolineato che i cosiddetti “terroristi islamici” non sono figli di una tradizione religiosa ma dei conflitti ideologici sociali e storici della modernità,  dove l’Islam diventa un elemento identitario, ma nell’ambito del conflitto antimperialista.

In sintesi, Alberto Ventura era un uomo del dialogo, della sobrietà. Fedele all’ideale Sufi, per cui il vero sapiente si abbevera alla conoscenza divina per fare ritorno alla vita quotidiana, uomo ordinario (in apparenza) fra tutti gli altri. “Ci siamo sentiti in tempi recenti. Siamo rimasti al telefono mezz’ora, scherzava, ironico e arguto. Sembrava in ripresa dopo un malore che ci aveva preoccupati”.

La Grande Moschea di Roma (foto Ansa)
La Grande Moschea di Roma (foto Ansa)
La Grande Moschea di Roma (foto Ansa)

Lo studioso si è spento a Rende, presso Cosenza, nella casa dove viveva con la moglie Angela Grispino, ed è stato sepolto a Roma, dopo il funerale nella Grande Moschea della capitale. In Calabria, come ha fatto notare su Internet l’associazione Dar Assalam di Catanzaro, non c’è uno spazio dedicato ai riti funebri e alle sepolture secondo le prescrizioni islamiche. Per il professor Ventura c’era un posto nei più prestigiosi atenei, nelle più quotate riviste e nei convegni internazionali. Per Abd Al-Malik, il suo nome religioso, non c’è un posto adeguato in cimitero. Non ci sarebbe stato neanche in Sardegna e sarebbe ora di domandarsi perché, sino a quando.

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