Si apre in Corte d’Appello a Roma l’udienza nel processo di revisione della condanna all’ergastolo di Beniamino Zuncheddu, in carcere dal febbraio 1991 perché ritenuto autore della strage di Sinnai commessa l’8 gennaio precedente. E subito c’è una sorpresa: su richiesta di uno dei testimoni l’interrogatorio si svolge a porte chiuse. Tutti fuori dall’aula, dunque, tranne giudici e avvocati. 

Alla base della decisione, forse, il contenuto della deposizione. Sentiti oggi un pastore all’epoca dipendente delle vittime (furono uccisi Gesuino Fadda, padrone dell’ovile Cuile is Coccus alle pendici del monte Serpeddì a breve distanza da Burcei, il figlio Giuseppe e il pastore Ignazio Pusceddu), l’attuale occupante dello stazzo e un maresciallo dei carabinieri.

Il “super-testimone”, terminata la deposizione è stato fatto uscire da una porta laterale. 

Il triplice delitto, secondo la ricostruzione dell’epoca, era stato commesso in ambiente agropastorale.

All’origine c’erano dissidi tra allevatori vicini (a ridosso di Cuile is Coccus c’è Masone Scusa), sconfinamenti di bestiame, animali uccisi, litigi. E a compiere l’eccidio secondo la sentenza fu Zuncheddu, che così avrebbe vendicato l’uccisione delle vacche di chi gravitava su Masone Scusa.

Omicidi sempre negati, però, dall’ergastolano.

Nel 2020 l’allora pg di Cagliari, Francesca Nanni, e l’avvocato del detenuto, Mauro Trogu, hanno chiesto la revisione del processo per dimostrare che in realtà i responsabili erano altri per capacità di azione, motivazioni e rapidità di esecuzione.

Vi sarebbe a loro dire un collegamento col sequestro di Gianni Murgia, commesso nell’ottobre 1990: l’ostaggio fu liberato ad Austis pochi giorni dopo la strage e l’ipotesi attuale è che i banditi nel trasportarlo verso il covo fossero passati da Cuile is Coccu per lasciarlo al gruppo di custodia.

I Fadda avrebbero visto qualcosa o, una delle tesi della pg, avrebbero contribuito al rapimento. E per questo sarebbero stati uccisi, forse dopo la richiesta di una parte del riscatto.

La svolta nel processo di revisione è arrivata martedì scorso, quando l’unico superstite della mattanza, Luigi Pinna, davanti alla Corte d’Appello ha confermato dopo tre decenni quello che inquirenti e avvocato sospettavano: il suo riconoscimento di Zuncheddu quale responsabile, indicazione alla base della condanna, era arrivato dopo aver visto la sua fotografia, perché in precedenza non aveva idea di chi fosse il pastore di Burcei.

Chi gliela aveva mostrata? Il sovrintendente della Polizia Mario Uda, di sua iniziativa, presa però prima del riconoscimento ufficiale davanti al pm. Un passo che renderebbe quindi inattendibile l’indicazione di Pinna, come sostenuto dalla pg nella richiesta di revisione. Secondo Nanni, infatti, quella mossa rendeva “falsa” la “prova regina” a carico di Zuncheddu, che quindi a suo dire era da assolvere.

Una settimana fa la conferma diretta di Pinna. Smentita poco dopo dallo stesso Uda, che ha testimoniato tra le 21,30 e le 23,20. Ma la frase del superstite, pronunciata dopo un’ora e mezzo di udienza nel corso di una testimonianza drammatica, resta intatta nella sua forza dirompente sul prosieguo del processo. Che oggi tocca un’altra, decisiva tappa prima della conclusione. 

Conclusa la testimonianza del maresciallo dei carabinieri Ernesto Corona, dal 2014 al 2022 di stanza a Burcei, è cominciata quella della terza persona convocata in corte D’appello. E anche stavolta il presidente ha disposto che si proceda a porte chiuse

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