Francesco Rocca, i suoi beni non possono andare alla madre. E i familiari di Dina Dore possono ottenere il risarcimento
La sentenza del giudice del Tribunale civile fa fallire il tentativo dei familiari del dentista di spogliarlo dei beni in modo che non fossero aggredibili dalla famiglia di Dina DorePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
I beni intestati a Francesco Rocca - il dentista di Gavoi condannato in via definitiva all'ergastolo come mandante dell'omicidio della moglie Dina Dore avvenuto nel marzo 2008 - restano a lui e non sono il frutto di un patto fiduciario con la famiglia.
E’ quanto ha stabilito la giudice civile del Tribunale di Nuoro Tiziana Longu, rigettando l’istanza avanzata dalle due sorelle e dalla madre di Rocca con l’obiettivo di spogliarlo dei beni di cui è titolare.
Secondo gli avvocati che rappresentano la famiglia di Dina Dore e quelli che tutelano la figlia 13enne di Rocca l’istanza era una furbizia per evitare che i beni del dentista possano essere aggredibili dai Dore, beneficiari di una provvisionale dopo la condanna, e dalla stessa figlia per il cui risarcimento sono in corso cause civili.
Per questo la legale Annamaria Busia si dice “soddisfatta” della sentenza. “La giudice ha deciso come speravamo e ha stabilito che le questioni poste dalle sorelle e dalla mamma di Rocca erano assolutamente infondate e che il patrimonio intestato è interamente di Francesco”.
Gli avvocati delle sorelle e della mamma del dentista potrebbero ricorrere in Appello.
L’OMICIDIO – Dina Dore era stata uccisa la sera del 26 marzo 2008 nella sua abitazione di Gavoi. Aveva 37 anni e una figlia nata sette mesi prima. Madre e bimba erano appena rientrate a casa, in via Sant'Antioco. Qualcuno aveva aggredito la donna, ne aveva legato le mani e i piedi e l'aveva soffocata con il nastro adesivo prima di rinchiuderla nel bagagliaio dell'auto.
Gli investigatori in un primo momento avevano pensato a un sequestro di persona: nell'appartamento non c'era traccia della vittima, mentre da una parte c'era il seggiolino con la neonata. Solo molte ore dopo le forze dell'ordine avevano deciso di controllare l'interno del cofano della Fiat Punto e scoperto il cadavere della donna.
Le indagini si erano rivelate complicate. La tesi del rapimento finito male non trovava sbocchi, poi nell'autunno del 2012 qualcuno aveva sostenuto che a uccidere Dina Dore era stato il giovane Pierpaolo Contu su ordine del marito della vittima. Sullo scotch che aveva impedito alla donna di respirare era stata individuata anche la traccia di un altro Dna maschile, rimasto però sconosciuto, e inoltre in quei giorni era spuntata una lettera anonima, indirizzata a Graziella Dore (sorella di Dina), che indicava come mandante del delitto Francesco Rocca e come esecutori alcuni giovani del paese.
Così nel febbraio del 2013 la Direzione distrettuale antimafia di Cagliari, sulla base degli approfondimenti delle Squadre mobili di Nuoro e Cagliari, aveva ordinato gli arresti di Contu e Rocca. Nei due gradi di giudizio aveva avuto un ruolo fondamentale il racconto del testimone Stefano Lai: l'amico Pierpaolo Contu, così aveva rivelato, gli aveva confidato di essere stato lui a uccidere su mandato di Rocca e dietro una ricompensa di 250mila euro o di un immobile. Contu, all'epoca minorenne, è stato condannato definitivamente a 16 anni. Per Rocca la Cassazione ha messo il sigillo sull'ergastolo nel settembre 2018.
(Unioneonline/L)