La madre è morta, il padre è in galera e lei, dodicenne, rischia di restare a mani vuote. La figlia di Dina Dore, uccisa nel marzo 2008 dal marito Francesco Rocca, potrebbe non avere il risarcimento garantito da una legge del 2018 agli orfani minorenni di femminicidio: dipende dall'esito di due cause civili che mirano a spogliare l'uomo di tutti i beni dei quali è intestatario. A quel punto il dentista condannato all'ergastolo un anno fa diventerebbe di fatto un nullatenente. Il problema è stato sollevato dalla sorella e dalla nipote della donna uccisa con una durissima lettera spedita a L'Unione Sarda.

GLI ATTI DI CITAZIONE - I due atti di citazione distinti, ma identici nello scopo e - di fatto - nei contenuti, sono stati presentati dagli avvocati Giampaolo Mura e Giovanni Pinna Parpaglia per conto della madre e delle sorelle di Francesco Rocca. L'obiettivo è far rientrare nell'asse ereditario famigliare ogni possedimento. Le tre donne sostengono che ogni proprietà in capo a Rocca sarebbe finita nelle sue mani solo in virtù di un "patto fiduciario" coi genitori Antonio Rocca e Mariuccia Marchi. Padre e madre dell'omicida avevano intestato innumerevoli immobili al figlio ma i veri proprietari erano loro, avendo regolarmente prelevato dai propri conti correnti bancari (cointestati) il denaro necessario all'acquisto di case, terreni e locali utilizzati come abitazione, ambulatori e garage dall'ultimogenito. Ciò comporterebbe l'obbligo di ritrasferire ai legittimi titolari ogni cosa, oltre al denaro sborsato per le spese giudiziarie e carcerarie. Il padre Antonio però è morto nel 2018, quindi metà deve andare a Mariuccia Marchi e il resto alle sorelle Anna e Maria Pierpaola Rocca. Questa "imposizione" tuttavia ancora non ha avuto seguito. Dunque ecco la soluzione: istruire una doppia causa per costringere l'omicida a compiere quel passo ritenuto dovuto.

Francesco Rocca (archivio L'Unione Sarda - Calvi)
Francesco Rocca (archivio L'Unione Sarda - Calvi)
Francesco Rocca (archivio L'Unione Sarda - Calvi)

LE UDIENZE E LA BEFFA - Le udienze davanti al giudice civile di Nuoro sono fissate per il 16 dicembre e l'inizio del 2020. Apparentemente una diatriba tra parenti, come tante sparse nei Tribunali, se non fosse per i protagonisti (le donne hanno seguito tutte le udienze in ogni grado di giudizio) e, soprattutto, per la possibile conseguenza: se le tesi avanzate dai legali fossero accolte, i beni tornati nella piena disponibilità delle tre donne non potrebbero più essere "aggrediti" dalla figlia di Dina Dore. La seconda vittima del femminicidio, che al momento del delitto aveva pochi mesi di vita.

LE LEGGE SUL FEMMINICIDIO - Proprio per casi come questo nel 2018 era stata approvata la legge numero 4 sugli orfani minorenni o maggiorenni non autosufficienti di femminicidio. Prevede che le proprietà dell'imputato vadano messe sotto sequestro conservativo subito dopo l'assassinio (in questo caso, che risale al 2008, il passo doveva essere compiuto all'entrata in vigore della legge) per garantire il risarcimento dei danni a favore dei figli, i quali possono anche ottenere una provvisionale del 50 per cento del danno. Il testo era stato ideato e scritto in Sardegna dall'avvocata e allora consigliera regionale Anna Maria Busia.

IL SEQUESTRO E LA CAUSA - Busia (tutela la bambina) e il collega Massimo Delogu (assiste la madre e i fratelli di Dina Dore) verificheranno la concreta applicazione della legge al caso specifico e se il sequestro sia stato eseguito. Ma l'avvio delle cause lascia pensare che la risposta al secondo quesito sia negativa. Negli atti di citazione, vecchi mesi e venuti alla luce a ridosso della giornata contro la violenza sulle donne (lunedì l'avvocatessa Busia parlerà di questo caso in un convegno al liceo Siotto di Cagliari), la madre e le sorelle di Francesco Rocca sostengono che i genitori avevano acquistato tra il 1998 e il 2008 terreni, fabbricati rurali e appartamenti a Gavoi, Austis, Teti, Oristano e Nuoro per un valore complessivo di oltre 720 mila euro e coperto spese legate all'attività medica, al processo (circa 800 mila euro) e alla carcerazione del figlio. Con la morte di Antonio Rocca le spese sostenute dovrebbero rientrare nella disponibilità della moglie e delle figlie. Non solo. Secondo le sorelle l'uomo aveva ottenuto più beni del dovuto e, avendone venduto diversi, avrebbe già superato come valore la quota di eredità che gli spetta: ora dovrebbe addirittura rimborsarne una parte.

Andrea Manunza

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DAGLI ATTI DELL'INCHIESTA - Dina Dore era stata uccisa la sera del 26 marzo 2008 nella sua abitazione di Gavoi dal marito Francesco Rocca. Aveva 37 anni e una figlia nata sette mesi prima. Madre e bimba erano appena rientrate a casa, in via Sant'Antioco. Qualcuno aveva aggredito la donna, ne aveva legato le mani e i piedi e l'aveva soffocata con il nastro adesivo prima di rinchiuderla nel bagagliaio dell'auto. Gli investigatori in un primo momento avevano pensato a un sequestro di persona: nell'appartamento non c'era traccia della vittima, mentre da una parte c'era il seggiolino con la neonata. Solo molte ore dopo le forze dell'ordine avevano deciso di controllare l'interno del cofano della Fiat Punto e scoperto il cadavere della donna.

Le indagini si erano rivelate complicate. La tesi del rapimento finito male non trovava sbocchi, poi nell'autunno del 2012 qualcuno aveva sostenuto che a uccidere Dina Dore era stato il giovane Pierpaolo Contu su ordine del marito della vittima. Sullo scotch che aveva impedito alla donna di respirare era stata individuata anche la traccia di un altro Dna maschile, rimasto però sconosciuto, e inoltre in quei giorni era spuntata una lettera anonima, indirizzata a Graziella Dore (sorella di Dina), che indicava come mandante del delitto Francesco Rocca e come esecutori alcuni giovani del paese.

Così nel febbraio del 2013 la Direzione distrettuale antimafia di Cagliari, sulla base degli approfondimenti delle Squadre mobili di Nuoro e Cagliari, aveva ordinato gli arresti di Contu e Rocca. Nei due gradi di giudizio aveva avuto un ruolo fondamentale il racconto del testimone Stefano Lai: l'amico Pierpaolo Contu, così aveva rivelato, gli aveva confidato di essere stato lui a uccidere su mandato di Rocca e dietro una ricompensa di 250 mila euro o di un immobile. Contu, all'epoca minorenne, è stato condannato definitivamente a 16 anni. Per Rocca la Cassazione ha messo il sigillo sull'ergastolo nel settembre 2018.
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