Domanda diretta, risposta facile: se un prete cattolico è gay anziché etero, a chi può interessare oltre che a lui? A nessuno, ovvio: tecnicamente neppure a Santa Madre Chiesa, che non ha da ridire sulle inclinazioni sessuali di un sacerdote in quanto tali. Il problema semmai, per chi ha fatto voto di castità, è riuscire a sublimare quelle inclinazioni senza metterle in atto, per così dire. Ma questo riguarda sia gli omosessuali che gli etero. E in ogni caso se qualcuno non ci riesce, dovrà risponderne a Dio e alla propria coscienza, al limite ai suoi superiori e alla comunità dei fedeli: ma questo può giustificare un’intrusione nella sua privacy che arrivi a rivelare pubblicamente la sua dimensione più intima, e i suoi comportamenti quando non indossa l’abito talare?

L’interrogativo è diventato molto attuale negli Stati Uniti dopo che è venuta alla luce l’operazione condotta da un gruppo di cattolici integralisti del Colorado, che spendendo anche ingenti somme di denaro ha acquistato i dati che rivelano l’utilizzo, da parte di alcuni sacerdoti, delle app che servono a programmare appuntamenti con sconosciuti, e in particolare di quelle frequentate da chi cerca incontri con persone del proprio sesso.

“Clero e laici per il rinnovamento”

La vicenda è stata rivelata di recente da un’inchiesta pubblicata dal quotidiano Washington Post e firmata da Michelle Boorstein e Heather Kelly. Dopo aver reperito e consultato una vasta documentazione, incluse alcune registrazioni audio, le due giornaliste hanno potuto raccontare l’esistenza e l’attività di un’organizzazione non profit di Denver, chiamata “Catholic Laity and Clergy for Renewal” (che si può tradurre con “clero e laicato cattolico per il rinnovamento”). Grazie al finanziamento di alcuni soci molto facoltosi, il gruppo ha investito milioni di dollari per recuperare il tracciamento delle attività compiute da vari sacerdoti su diverse app. Di fatto è entrato in possesso di informazioni assai sensibili per vie comunque legali, perché si è trattato di pagare dati disponibili attraverso scambi commerciali.

Tutto è stato agevolato dal fatto che l’ordinamento americano non abbonda di norme a protezione della privacy: solo pochi Stati federali hanno varato leggi organiche a tale scopo. Justin Sherman, un docente della Duke University specializzato su questi temi e citato nell’articolo del Washington Post, segnala il fatto che, nella stessa maniera, è capitato che alcuni responsabili di abusi domestici abbiano messo le mani su dati relativi alle loro vittime, e che delle associazioni antiabortiste abbiano recuperato le informazioni sull’identità di chi si è rivolto alle cliniche che praticano le interruzioni di gravidanza. Va sottolineato che dai dati diffusi finora sullo spionaggio dei preti del Colorado non sono emerse attività che possano costituire reato, il che rende ancora più difficile giustificare l’iniziativa.

Un sacerdote: il gruppo di cattolici integralisti di Denver ha tracciato i dati di decine di preti
Un sacerdote: il gruppo di cattolici integralisti di Denver ha tracciato i dati di decine di preti
Un sacerdote: il gruppo di cattolici integralisti di Denver ha tracciato i dati di decine di preti

Boorstein e Kelly hanno tentato inutilmente di ottenere delle dichiarazioni dal presidente del Catholic Laity and Clergy for Renewal, Jayd Henricks. Quest’ultimo però è uscito allo scoperto su un sito, dichiarando che lo scopo dell’organizzazione è “aiutare la Chiesa a essere santa, con ogni mezzo possibile”. La loro idea è raccogliere informazioni sui preti che a loro giudizio tradiscono i doveri connessi al proprio ministero, e consegnarle ai rispettivi vescovi. Ma proprio un vescovo sarebbe stato, in realtà, la prima vittima illustre di questo spionaggio: secondo due fonti anonime citate dall’inchiesta giornalistica, rientrano nell’ambito dell’associazione anche gli ignoti che nel 2021 hanno costretto alle dimissioni il segretario della conferenza episcopale degli Stati Uniti, Jeffrey Burrill, consegnando al sito cattolico The Pillar i dati che ne dimostravano la sua regolare frequentazione di Grindr (un’app utilizzata per incontri tra gay) oltre che di un bar e di una spa prediletti da persone omosessuali.

Scarsa tutela della privacy

La ricerca delle due croniste è nata proprio dalla vicenda Burrill, che ha lasciato intravedere questo sistema di accaparramento di notizie relative ai comportamenti di singoli individui. Che avvengano scambi di dati personali a pagamento non era un mistero; ma il caso del vescovo che ha abbandonato la responsabilità della conferenza dei suoi confratelli è il primo effetto di un dossieraggio personale attuato da un gruppo di privati cittadini, senza uno scopo commerciale.

Le reazioni nella comunità ecclesiale americana a simili fatti sono di vario tipo: c’è chi ha argomentato che della vita di un presbitero deve potersi conoscere pubblicamente ogni aspetto, e chi invece ha lamentato l’inaccettabile clima di caccia alle streghe veicolato attraverso pesanti intrusioni nella vita delle persone. Appare comunque evidente il contenuto omofobico dell’attività dell’associazione di Denver, dato che finora non risulta che sia stata compiuta analoga attività di raccolta dati per i preti che invece utilizzano app per incontri tra eterosessuali. Ma oltre a questo aspetto, il problema riguarda potenzialmente qualsiasi cittadino, perché questa sorta di “sorveglianza digitale”, in assenza di regole precise, potrebbe colpire chiunque, in qualsiasi ambito della vita privata, e per i motivi più svariati.

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