Una strage nel buio e una strana indagine
La sera dell’8 gennaio 1991 sulle montagne di Sinnai, a ridosso di Burcei, vengono uccise tre persone al lavoro nell’ovile Cuile is Coccus. La quarta si salva e sarà decisiva nell’incriminare il pastore Beniamino Zuncheddu come presunto responsabileLa vicissitudine giudiziaria di Beniamino Zuncheddu comincia 33 anni e mezzo fa e termina, in qualche misura, lo scorso gennaio. Per capire cosa sia accaduto, e perché il pastore di Burcei sia stato coinvolto nell’inchiesta, bisogna tornare al 1991.
Gli assassinii
L’8 gennaio di quell’anno sulle montagne di Sinnai a ridosso di Burcei il buio è calato già da circa 45 minuti. Luigi Pinna guarda l’orologio più volte: è salito a Cuile is Coccus, 700 metri di altitudine sotto le antenne di Serpeddì, per aiutare il suocero Gesuino Fadda, titolare dell’ovile, allevatore originario di Busachi ma residente a Maracalagonis (centro abitato confinante con Sinnai), a sistemare un muretto di recinzione per il ricovero delle capre. Però si è fatto tardi e ha fretta, perché deve passare da un amico a Mara e andare con lui in palestra a Sinnai alle 19. Sono già le 18,30 e il paese dista 8 chilometri. Per arrivarci, viste le condizioni della strada, serve un’ora di viaggio. Più o meno.
Così lascia gli attrezzi e saluta ma subito si blocca quando sente due esplosioni arrivare dal buio. Si volta, incrocia lo sguardo di Giuseppe, suo coetaneo, figlio di Gesuino, col quale lavorava alla recinzione, poi arriva un urlo da qualche decina di metri più a valle: «Prendi il fucile, stanno sparando a tuo padre». È Ignazio Pusceddu, pastore alle dipendenze dei Fadda, che svela cosa è accaduto. Inizia così la mattanza da tutti conosciuta come la “strage di Sinnai”: tre persone uccise nell’arco di pochi minuti, nonostante l’ampia area coperta dal killer (o dai killer), e una quarta moribonda, sopravvissuta miracolosamente a un’azione quasi militare nello sviluppo e nella precisione.
Via alle indagini
I tempi e la sequenza dell’eccidio emergono solo nelle ore successive, quando si scopre che una persona è sopravvissuta ed è in grado, seppure a fatica (e con alterne dichiarazioni), di spiegare cosa è successo. Le indagini degli investigatori e le testimonianze fanno emergere tra l’altro che nel periodo immediatamente precedente agli omicidi Gesuino Fadda era particolarmente preoccupato: lo rivela la moglie della vittima la quale però aggiunge che il marito non le aveva spiegato per quale motivo. Qualcosa di tanto grave da sfociare in una simile strage? Quali misteri si nascondono dietro la mattanza?
Ricostruire contesto e movente sembra complicato, ma un passo alla volta emerge la dinamica. Quella sera, in base ai risultati degli accertamenti, qualcuno si avvicina a Cuile is Coccus senza farsi notare (forse è a piedi, ma in ogni caso il rumore dei 1.100 capi di bestiame dell'azienda avrebbe potuto coprire quello di un’auto o un motorino). Imbraccia un fucile, si apposta ai margini della stradina che conduce ai caseggiati dell’ovile che stanno poco più a monte e quando passa Gesuino Fadda salta fuori, gli spara e lo uccide; subito dopo fa altrettanto col figlio Giuseppe, messo in allarme da Pusceddu e corso a cercare (senza riuscirci) un fucile calibro 16 nascosto nel fienile per ogni evenienza; quindi entra nel casolare dove si trovano il cucinino e la stanza con le brande e qui, aprendo la porta con un calcio e gridando «fuori di lì, fuori di lì» in italiano (dettaglio che si rivelerà importante nel futuro), ammazza chi lì si è rifugiato sperando di scampare alla morte: spara una volta contro Pusceddu, che muore sul colpo, e due volte contro Pinna, che però sopravvive pur colpito al femore e alla spalla. Ma l’omicida non lo sa.
La scoperta
Questi infatti, sicuro di aver eliminato tutti, stacca il generatore di energia elettrica e va via mentre il sopravvissuto trascorre la notte avvolto dall’oscurità più totale e col terrore che l’assassino torni per finire il lavoro. Non muore dissanguato solo perché stringe un pezzo di stoffa attorno alla gamba per fermare, o comunque rallentare, l’emorragia. Aspetta, sveglio e dolorante, in stato di semi incoscienza, tutta la notte. Sinché, col sole già sorto, arriva qualcuno: un amico dei Fadda, chiamato dalle figlie che, preoccupate per il mancato rientro del padre dal lavoro la sera precedente, gli chiedono di andare a controllare la mattina dopo assieme a loro. L’uomo, arrivato in montagna, scopre i cadaveri, e mentre le figlie piangono il padre e il fratello lui chiama i soccorsi. Arriva l’ambulanza, che carica il ferito e parte di filata verso l’ospedale, ma mentre percorre le strade sconnesse di campagna incrocia un’auto dei carabinieri che blocca il mezzo per far sì che un maresciallo dell’Arma possa salirvi a bordo e fare subito le prime domande al superstite.
La descrizione
Al militare Pinna descrive un uomo «robusto, con un giaccone bianco e una calza da donna sul viso». Non ha riconosciuto il responsabile proprio perché il volto era nascosto, dice. E poi era tutto buio. Parte l’inchiesta, vengono sentiti testimoni, si parla di contrasti tra allevatori confinanti. Poi accade qualcosa: nelle indagini si inserisce anche la Criminalpol della Polizia, che in più occasioni - alcune prive di verbale - ascolta la versione del sopravvissuto. Il quale dopo un mese o poco più dalle iniziali dichiarazioni rivela di aver mentito nella prima occasione (cioè al carabiniere) e che in realtà l’assassino ha agito col volto scoperto. Quindi può riconoscerlo. È la svolta.
2) continua