La Sardegna adesso si ribella. Contro il deposito delle scorie nucleari in 8 siti di 14 Comuni sardi scendono in campo la Cgil, la Uil e le associazioni produttive. Tutti minacciano la mobilitazione: «Siamo pronti a scendere in piazza».

I Comuni interessati allo screening della società Sogin, che cura il progetto, sono Assolo, Albagiara, Usellus, Ussaramanna, Ortacesus, Villamar, Turri, Setzu, Tuili, Nurri, Siurgus Donigala, Mandas e Guasila. I sindaci sono sul piede di guerra, l’Anci (l’associazione dei Comuni) – che ha seguito tutte le fasi della procedura, opponendosi fin dal 2017 – si è mobilitata contro le scorie anche di recente per voce del presidente Emiliano Deiana: «Ne va del futuro della nostra terra», ha ribadito in un documento. «La Sardegna, a partire da quelle militari, ha già dato in termini di servitù».

C’è poi Paola Secci, sindaca di Sestu e presidente del Cal, che accusa: «Dopo i recenti tentativi di colonizzazione da parte delle multinazionali dell’eolico, arriva l’ennesimo sonoro schiaffo alla dignità dei territori e della Sardegna, con l’inserimento di 8 aree, che corrispondono a 14 Comuni dell’Isola, nella Carta nazionale delle Aree idonee a ricevere le scorie nucleari», scrive in una nota. «È assurda la pretesa di trasformare l’Isola in una pattumiera per le scorie che provengono da quattro ex centrali nucleari chiuse dopo il referendum abrogativo del 1987, oggi stoccate in buona parte in Gran Bretagna e in Francia». Il Cal è pronto a dare battaglia: «Così si calpesta la volontà dei sardi espressa con forza e compattezza nel 2011, con il referendum consultivo popolare che aveva visto un voto contrario per il 97% alla localizzazione delle scorie radioattive in Sardegna». E ancora: «Sia chiaro sin da ora che nessun territorio dell’Isola darà la sua adesione alla possibilità, paventata dal Governo per gli enti territoriali e le strutture militari, di presentare candidature alternative, entro trenta giorni dalla pubblicazione della Carta. Siamo pronti a scendere in piazza, se necessario», conclude Paola Secci, «per preservare la nostra Isola e rivendicare con forza la volontà di proteggere e valorizzare la nostra cultura millenaria, le bellezze naturalistiche e l’immenso patrimonio storico archeologico». 

Se ne discuterà anche in Consiglio regionale: per giovedì alle 11 sono stati convocati gli Stati generali del territorio. Ci sarà anche il governatore Christian Solinas. Sicuramente saranno portate all’attenzione dell’Aula anche le denunce di Legambiente. Secondo gli ambientalisti, infatti, «gli strumenti utilizzati per rilevare la pericolosità idraulica e geomorfologica considerano al massimo un tempo di ritorno di 500 anni. Il tempo di esercizio della struttura è previsto in 300 anni, questo vuol dire che un evento di quel tipo ha la probabilità del 60% di accadere nell’arco del periodo di esercizio del deposito. Perciò l’analisi della pericolosità idraulica e geomorfologica dovrebbe essere fatta analizzando tempi di ritorno molto superiori, in modo da considerare anche eventi che abbiano una probabilità molto più remota di accadere.

Non risulta sia stata svolta una analisi dei suddetti siti sotto l’aspetto della franosità».

Secondo la Guida Tecnica n.29 redatta da Ispra, «nell'identificazione dei siti deve essere verificata la “rispondenza a fronte degli eventi naturali ed antropici ipotizzabili in relazione alle caratteristiche di sito nonché le verifiche in merito all’impatto radiologico in condizioni normali ed incidentali sulla popolazione e sull’ambiente”. Eppure manca completamente un’analisi, anche di carattere generale, del rischio da incidente, attentato o altro». In sostanza, Legambiente diffida dei contenuti dello studio: «Il Deposito nazionale va realizzato, ma le aree individuate sono situate in una zona il cui inestimabile valore storico, paesaggistico e naturalistico è dato dalla presenza di una fitta tessitura di beni culturali e di aree naturali protette strettamente interconnesse tra loro – spiega Annalisa Colombu, presidente di Legambiente Sardegna –. Il Deposito nazionale prevede la presenza di numerosi edifici completamente fuori terra, alti oltre i 20 metri, con la volumetria e la struttura di un vero e proprio sito industriale di notevole estensione (150 ettari), la cui presenza distruggerebbe il valore di questo tessuto, e la  maggior parte delle aree scelte dista meno di 3 chilometri da più centri abitati». La conclusione è una sostanziale bocciatura: «Le 8 aree individuate in Sardegna non sono idonee ad ospitare il Deposito Nazionale innanzitutto in base ai criteri definiti nella Guida Tecnica n. 29 di Ispra – chiosa Giorgio Querzoli, responsabile scientifico di Legambiente Sardegna –. Non è stata effettuata una adeguata verifica della pericolosità idraulica, essendo stati considerati eventi con un tempo di ritorno di solo 50 anni, molto più breve della vita utile del Deposito che è di 300 anni. Inoltre, collocare il Deposito Nazionale in Sardegna comporta gravi problemi relativi alla logistica e mette in crisi il porto impiegato nel trasferimento oltre che il sistema dei trasporti regionali, a causa di un sistema viario e ferroviario insufficiente a sopportare il flusso costante di rifiuti che arriverebbero dal continente».

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