“Qual è il prezzo delle bugie? Non che le confondiamo con la verità, il vero pericolo è che abbiamo ascoltato tante di quelle bugie da non riconoscere più la verità. Cosa fare allora? Non resta che accontentarci delle storie. In queste storie non importa chi siano gli eroi, quello che vogliamo sapere è a chi dare la colpa. E in questa storia è toccato ad Anatoly Diatlov, un uomo arrogante, sgradevole, era lui al comando quella notte, lui diede gli ordini. E ora passerà i prossimi dieci anni in un campo di detenzione. Ovviamente la sentenza è doppiamente ingiusta, c’erano criminali di gran lunga peggiori di lui a lavoro. E per quello che ha fatto Diatlov, l’uomo non merita la prigione, merita la morte. Dieci anni per negligenza criminale, che cosa vuol dire? Nessuno lo sa, non ha importanza, quello che importa è che per loro giustizia è stata fatta. Sì perché per loro un mondo giusto è un mondo sano, ma non c’è stato niente di sano a Chernobyl, né allora, né dopo, né in quello che abbiamo fatto di buono, tutto quanto, tutto, follia”.

La testimonianza, lunga, dettagliata, raccapricciante, registrata su audiocassette, è quella di Valery Legasov, lo scienziato (vicedirettore dell’Istituto Kurcatov di Energia atomica) che indagò sul disastro nucleare, arrivò tra i primi sul luogo poco dopo l’esplosione, contribuì moltissimo al piano di mitigazione delle conseguenze e convinse l’inviato del governo Boris Shcherbina – mandato lì con l’obiettivo di nascondere la tragedia al resto del mondo e minimizzarla con i sovietici – a stare dalla sua parte, quella giusta. Legasov rivelò particolari sconcertanti, i difetti di costruzione del reattore, il fatto che il nocciolo esplose, le scelte dolose sbagliate di quella notte, soprattutto i tentativi reiterati a diversi livelli di nascondere quello che era successo e quali sarebbero state le conseguenze. Per questo, fu censurato, costretto al silenzio da Mosca, controllato nella sua casa, abbandonato da tutti: lui registrò tutto e poi si sparò un colpo di pistola alla testa, il 26 aprile 1988, esattamente due anni dopo la catastrofe.

Inizia così la bella serie statunitense e britannica scritta da Craig Mazin e diretta da Johan Renck, che vale la pena (ri)vedere su Sky. Un film (interpretato da attori come Jared Harris, Stellan Skarsgard, Emily Watson) che ripercorre con il rigore di un resoconto di cronaca quelle vicende terribili di 36 anni fa, basate anche sulle dichiarazioni degli abitanti della zona raccolte dalla giornalista e scrittrice Svjatlana Aleksievic, Nobel per la letteratura nel 2015.

Dice ancora Legasov: “Essere uno scienziato vuol dire essere un ingenuo. Siamo così presi dalla ricerca della verità da non considerare quanto pochi siano quelli che vogliono che la scopriamo. Ma la verità è sempre lì, che scegliamo di vederla o no, alla verità non interessano i nostri bisogni, ciò che vogliamo, le ideologie, i governi, le religioni. Lei rimarrà lì, in attesa tutto il tempo, e questo alla fine è il dono di Chernobyl”.

Ricordano gli autori della serie che i nastri audio con il memoriale furono fatti circolare tra la comunità scientifica sovietica: il fatto che lo scienziato si suicidò impedì che fossero ignorati, e i funzionari del soviet alla fine riconobbero i difetti di progettazione del reattore nucleare RBMK. 

Legasov fu aiutato da decine di scienziati che lavorarono accanto a lui senza sosta, alcuni si espressero contro la versione ufficiale degli eventi, e furono arrestati e imprigionati. Per rappresentarli e onorare la loro dedizione al servizio dell’umanità intera – spiegano ancora gli autori – è stato creato nella serie il personaggio di Ulana Khomyuk (Emily Watson).

Le regioni contaminate di Ucraina e Bielorussia, note come Zona di esclusione, alla fine compresero un’area di 2600 chilometri quadrati. Circa 300mila persone allora furono evacuate dalle loro case, venne detto loro che si trattava di una cosa temporanea: è tuttora proibito tornarci.

Mikhail Gorbaciov nel 2006 scrisse: “La catastrofe nucleare di Chernobyl… fu forse la vera causa del collasso dell’Unione sovietica”.

Dopo l’esplosione ci fu un drammatico picco di casi di cancro tra Ucraina e Bielorussia, il tasso più alto si registrò fra i bambini.

Non sapremo mai il costo delle vite umane di Chernobyl, si stima tra i 4.000 e i 93mila morti. Il bilancio ufficiale sovietico delle vittime, immutato dal 1987, è di 31.

L’incubo si è riconcretizzato nei giorni scorsi. Trincee scavate nel terreno contaminato, scorie radioattive toccate a mani nude, esposizioni prolungate a polveri e sostanze tossiche: i soldati russi inviati da Putin a invadere e violentare l’Ucraina che hanno occupato Chernobyl, sono stati mandati allo sbaraglio in quel luogo ancora velenoso. Secondo il ministro dell'Energia ucraino German Galushchenko, a quelli che hanno scavato vicino alla vecchia centrale, non resterebbe più di un anno di vita.

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