Chi fu il primo a tentare di rompere il monopolio televisivo della Rai in Italia? La risposta ovvia – Silvio Berlusconi – è anche sbagliata: perché, prima ancora della sua discesa nel campo delle tv, vi furono alcune esperienze pionieristiche che in parte aprirono poi la strada proprio a lui, ma portate avanti con mezzi quasi di fortuna e senza le disponibilità economiche che avrebbe potuto mettere in gioco il fondatore di Milano 2. La capostipite delle “tv libere”, in particolare, è considerata Telebiella. La primissima tv privata, a dire il vero, era stata Telediffusione italiana Telenapoli, che aveva iniziato le trasmissioni nel 1970; ma fu l’avventura biellese a cambiare la storia dell’emittenza nel Paese.

Oggi viene quasi da sorridere a pensare che il colosso pubblico della Rai potesse soffrire la sfida di una concorrente che già dal nome denunciava la propria origine estremamente semplice: eppure proprio 50 anni fa, il 10 luglio 1974, la Corte costituzionale accolse in buona parte il ricorso portato avanti da quella emittente semiartigianale, sancendo l’illegittimità del monopolio di Viale Mazzini.

Un vuoto normativo

È una storia ormai da molti dimenticata, ma di grande fascino. Telebiella fu il sogno realizzato, pur tra mille difficoltà, di un personaggio coraggioso e fuori dagli schemi, Peppo Sacchi, che aveva iniziato come cameraman e poi regista alla Rai, ma non era fatto per la regolarità dell’impiego pubblico. Così, lasciato il posto sicuro, tornò nella città in cui era cresciuto e nel 1971 registrò in tribunale Telebiella come “giornale periodico a mezzo video”. Trasmetteva via cavo, come del resto anche Telenapoli: perché il Regio Decreto 645 del 1936 che regolava ancora il settore parlava di trasmissioni via etere ma nulla diceva di quelle diffuse appunto attraverso cavi, che quindi non avevano bisogno di concessione.

Peppo Sacchi durante un convegno sulle tv private ai tempi di Telebiella
Peppo Sacchi durante un convegno sulle tv private ai tempi di Telebiella
Peppo Sacchi durante un convegno sulle tv private ai tempi di Telebiella

La diffusione, di conseguenza, non poteva che essere locale. Nel documentario del 1997 “Prima di Berlusconi – Storia della prima tv privata italiana”, in cui Beppe Anderi e Filippo Loro ricostruiscono molto bene la storia di Telebiella (lo si può ancora trovare sulla piattaforma Vimeo), lo stesso Sacchi racconta che per stendere i cavi su cui diffondeva le sue trasmissioni dovette superare molti ostacoli: condomini che non volevano farli passare sopra di loro, Enel e Sip restie a consentire che si affiancassero alle loro infrastrutture. I mezzi erano quelli che erano: sempre Sacchi ricorda che nei primissimi tempi uno dei registi, Enzo Gatta (che poi passò alla Rai), aveva anche il compito, essendo giovane e atletico, di fare il giro nelle piazze di Biella per accendere, e a fine giornata spegnere, i televisori installati per far conoscere la tv alla cittadinanza.

I linguaggi televisivi forse non erano particolarmente innovativi: però, per varie ragioni, quella specie di armata Brancaleone attirò alcuni collaboratori di grande nome, come Enzo Tortora (durante uno dei suoi periodi di allontanamento dalla Rai: in quel caso per aver definito la tv pubblica “un jet pilotato da un gruppo di boy scout”), oppure Bruno Lauzi, di cui Sacchi era diventato amico ai tempi del Cantagiro. Certo, non si poteva fare granché: il fulcro del palinsesto era una specie di telegiornale (“il nostro videoinformatore”, l’aveva presentato Ivana Ramella, annunciatrice di Telebiella nonché figura tuttofare, essendo la moglie di Peppo Sacchi: è morta nell’aprile 2024, a 82 anni, mentre il marito oggi ne ha 91). Lo affiancavano un po’ di programmi musicali e, si sarebbe detto, di varia umanità, sempre realizzati con poche lire.

Ecco perché suona strano che un assalto al monopolio condotto così alla buona abbia suscitato la veemente reazione del governo per difendere i privilegi della Rai, con un corollario di polemiche che portò addirittura alla caduta del secondo esecutivo guidato da Giulio Andreotti. Nel 1973, per colmare la lacuna sulle tv via cavo, un decreto del presidente della Repubblica unificò la disciplina sui mezzi di comunicazione a distanza, ponendo Telebiella nell’illegalità; un successivo decreto del ministro delle Poste Giovanni Gioia impose alla tv di Peppo Sacchi lo stop alle trasmissioni. Il leader del Pri Ugo La Malfa, non informato della mossa di Gioia, revocò la fiducia al governo, che cadde.

Eutanasia in diretta di una tv

Nel frattempo però, poiché l’intimazione di chiudere era stata ignorata, la mattina del 1° giugno i funzionari dell’Escopost (praticamente il braccio poliziesco del ministero) si presentarono nella sede di Biella per chiudere l’emittente. Sacchi e il presentatore-giornalista Fausto Banino, avvertiti del loro arrivo, li accolsero in studio, durante una sorta di diretta che allora non fu magari seguita da moltissimi spettatori, ma che rivista oggi assume i caratteri di un momento drammatico e per certi versi storico. Fu in qualche modo l’eutanasia live di un’emittente, con gli impettiti rappresentanti ministeriali costretti a leggere davanti alle telecamere il decreto di sospensione delle trasmissioni, poi ad attendere l’arrivo dell’avvocato, infine incerti su come spegnere materialmente le attrezzature. A un certo punto però “il monitor andò in nero”, ricorda Sacchi sempre nel documentario di Anderi e Loro, e quella voce libera fu silenziata.

La presentatrice Ivana Ramella negli studi di Telebiella
La presentatrice Ivana Ramella negli studi di Telebiella
La presentatrice Ivana Ramella negli studi di Telebiella

Ma Telebiella non si arrese e, grazie all’assistenza gratuita di un grande avvocato come Alberto Dall’Ora, riuscì a ottenere che il pretore Giuliano Girzi sollevasse la questione di costituzionalità sul decreto del 1973, partendo da un’autodenuncia di Sacchi per violazione delle norme in materia postale. Nel luglio 1974, come detto, la Consulta sancì la parziale incostituzionalità del provvedimento varato l’anno prima dal governo Andreotti per chiudere la bocca a Telebiella, aprendo la prima breccia – in quel caso solo per la tv via cavo – nel monopolio Rai. Si può affermare che la sentenza ha influenzato l’ultimo mezzo secolo di storia italiana, dato che in quella breccia si è infilato un mondo ma soprattutto Silvio Berlusconi, che ha costruito un impero televisivo capace di modificare la cultura e i costumi del Paese, e in seguito di portare il suo fondatore a Palazzo Chigi. È chiaro che prima o poi il monopolio sarebbe caduto comunque: ma non si può dimenticare che il primo a mostrare a tutti la strada verso la conquista del West dell’emittenza privata fu l’istrionico Peppo Sacchi, con la sua coraggiosa, scalcagnata, incredibile Telebiella.

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