Sempre più giovani utilizzano i social e i servizi di chat per socializzare virtualmente. Ma non tutto ciò che luccica è oro. Infatti spesso, complice uno schermo che nasconde la propria identità, alcuni adulti si sentono autorizzati ad approcciarsi ai minori con una finta identità per diverse finalità. Queste conversazioni si possono manifestare in vari modi, in alcuni casi si tratta di semplici scambi di messaggi su argomenti sessuali, in altri si tratta di vere e proprie simulazioni dell’atto sessuale (sexting), in altri ancora possono sfociare in richieste di video o immagini esplicite di nudi o atti sessuali compiuti dal minore in cambio di regali. In quest’ultimo caso spesso il materiale inviato dal minore viene diffuso attraverso i social (revenge porn), a insaputa del protagonista, diventando così materiale pedopornografico. Infine, la conversazione può avere il fine dell’adescamento del minore (grooming) che potrebbe sfociare anche in molestie fisiche.

Resta il nodo dei numeri per quanto riguarda il “sexting, un vizio che non sarebbe privo di conseguenze. «Nell’ordinamento - sostiene Enrica Priolo avvocata cagliaritana, esperta di diritto delle nuove tecnologie -non esiste una norma che autonomamente disciplini il reato di sexting. Il vuoto normativo va colmato interpretando le condotte di sexting in parallelo con altre figure criminose affini previste nel codice penale». Quando la messaggistica tocca temi che riguardano l’attività sessuale tra un minorenne e un maggiorenne, bisogna verificare se questa attività può in qualche modo essere assimilabile alla pedopornografia virtuale, alla violenza sessuale o all’adescamento minorile.

Pedopornografia virtuale

In caso di immagini e video diffusi sui social, all’insaputa del protagonista minorenne, si applica l’art.600 ter del codice penale ‘divulgazione di materiale pedopornografico’. «Ovviamente bisogna valutare caso per caso in merito alla diffusione delle immagini, perché se la diffusione è stata fatta per lucrare allora si tratta di un reato che prevede la reclusione fino a 3 anni e con multa da 1.500 a 6.000 euro. Se invece, la diffusione delle immagini viene fatta per umiliare, se non addirittura per vendicarsi del soggetto ritratto, in questo caso si tratta di vero e proprio revenge porn, recentemente disciplinato in Italia dall’articolo 612 ter del codice penale ‘diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti’, e in questo caso la pena della reclusione arriva sino ai 6 anni di carcere e con multa da 5.000 fino a 15.000 euro». Continua l’avvocata: «Se il revenge porn è effettuato da persona legata al minore da relazione affettiva, la pena si aggrava notevolmente».

Violenza sessuale

Se durante il sexting il minore riceve contenuti sessualmente espliciti con il pressante invito a ricambiare la richiesta, questa diventa penalmente rilevante. In questo caso si tratta di reato di violenza sessuale prevista dall’art.609 bis del codice penale a carico di chi porta all’eccesso queste richieste. Trattandosi di reato grave, la pena è la reclusione da 6 a 12 anni. Come si arriva alla violenza sessuale se manca il contatto fisico? «La Corte di Cassazione sostiene che bisogna guardare gli elementi chiave che costituiscono il reato di violenza sessuale: l’intenzione di soddisfare un proprio piacere e la violazione della libertà di autodeterminazione sessuale che si realizza indipendentemente dal contatto fisico. Possiamo certamente affermare che l’invio dei messaggi espliciti sfocia sempre in una violenza sessuale quando chi fa le richieste minaccia o esercita una forte pressione sulla parte debole per ottenere il materiale richiesto».

Adescamento virtuale

«Nel caso in caso cui le conversazioni non inizino con delle espressioni esplicite, ma con lusinghe o con espressioni affettuose che creino un ponte di fiducia tra gli interlocutori, e che solo in un secondo momento si rivela il reale fine (criminale) della parte attiva, siamo nell’ambito dell’adescamento minorile disciplinato dall’art. 609 undecies del codice penale». In questo caso si tratta di un reato punito da 1 a 3 anni.

Sexting tra minori

Il sexting tra minori non è punibile quando si limita alle sole conversazioni esplicite riguardanti la sfera sessuale di chi scrive. «Il vero problema non è il sexting tra 15enni, ci vuole pochissimo a passare dal semplice messaggio esplicito o dall’invito all’autoerotismo al reato vero e proprio come ad esempio il revenge porn o la divulgazione di materiale pedopornografico. In questi casi –conclude Priolo - è fondamentale educare i figli all’uso del digitale e controllare i loro strumenti come il cellulare, il pc, ecc. Alcuni suggerimenti che mi sento di dare è quello di verificare le chat archiviate, la galleria delle immagini dei sistemi di messaggistica e sensibilizzare comunque i ragazzi all’uso corretto delle tecnologie».

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