“Nessuno dovrebbe trovarsi in povertà mentre lavora”, ha detto il commissario europeo per il Lavoro Nicolas Schmit, quando finalmente l’Ue ha approvato la direttiva sul salario minimo.

L’accordo concluso nei giorni scorsi dall’Unione europea – paghe eque e adeguate per tutti i lavoratori nel Continente, sopra la soglia della sopravvivenza, tenendo conto del costo della vita e del potere d’acquisto – ha segnato una svolta.

La strada per raggiungere l’obiettivo la decideranno i singoli Paesi, e in Italia è polemica tra chi vuole ridurre le disuguaglianze per legge, chi propone contratti collettivi per tutti o quasi, chi frena o preme per lasciare lo status quo.

In Sardegna la questione è pressante, dato che le buste paga sono tra le più leggere (solo la Campania è messa peggio) tra le regioni, con una retribuzione media giornaliera di 76,50 euro (90 euro quella nazionale), che scende a 70,12 in provincia di Oristano.

La tutela del salario minimo è garantita nell’Unione europea – spiega una relazione del Servizio studi del Dipartimento lavoro della Camera dei deputati - mediante contratti collettivi, come accade in sei Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia), o mediante salari minimi legali stabiliti per legge, come nei restanti 21 Stati membri.

Secondo le ultime statistiche pubblicate da Eurostat, a luglio 2020 erano previste retribuzioni minime nazionali in 21 dei 27 Stati membri dell'Ue, con notevoli differenze: da 312 euro al mese in Bulgaria a 2.142 euro in Lussemburgo.

In base al livello del loro salario minimo mensile lordo nazionale, gli Stati dell'Ue sono stati classificati da Eurostat in tre gruppi diversi: salari minimi nazionali inferiori a 500 euro al mese: Bulgaria, Lettonia, Romania e Ungheria. Si registrano variazioni dai 312 euro della Bulgaria ai 461 euro della Romania.

Poi, salari minimi nazionali tra 500 e 1.000 euro al mese: Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Estonia, Lituania, Grecia, Portogallo, Malta e Slovenia. Il salario minimo nazionale varia da 537 euro in Croazia a 941 euro in Slovenia.

Infine, salari minimi nazionali di almeno 1.000 euro al mese: in Spagna, Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Irlanda e Lussemburgo. E in questo gruppo si varia da 1.108 euro in Spagna a 2.142 euro in Lussemburgo.

L’ampio divario nei livelli delle retribuzioni minime è tuttavia considerevolmente attenuato se si prende in considerazione il costo della vita nei diversi Stati dell’Unione e comparando il salario minimo al potere d’acquisto.

Sulla base dell'entità delle rispettive retribuzioni minime lorde mensili espresse in termini di standard di potere di acquisto (PPS), gli Stati membri dell'Ue possono essere classificati in due gruppi – spiega ancora il documento - : il primo comprende i Paesi le cui retribuzioni minime nazionali a luglio 2020 erano inferiori a 1.000 PPS al mese: Lettonia, Bulgaria, Estonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Croazia, Ungheria, Portogallo, Grecia, Romania, Lituania e Malta, le cui retribuzioni minime nazionali variavano da 547 PPS in Lettonia a 890 PPS a Malta.

Il secondo gruppo include i Paesi le cui retribuzioni minime nazionali erano pari ad almeno 1.000 PPS al mese: Polonia, Slovenia, Spagna, Irlanda, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Lussemburgo, le retribuzioni minime nazionali erano comprese tra 1.008 PPS in Polonia a 1.634 PPS in Lussemburgo.

Gli Stati membri del primo gruppo, caratterizzati da salari minimi relativamente bassi in euro, tendono ad avere livelli dei prezzi più bassi e quindi salari minimi relativamente più alti se espressi in standard di potere d'acquisto. D'altro canto, gli Stati membri con salari minimi relativamente alti in termini assoluti, tendono ad avere livelli dei prezzi più elevati così che le loro retribuzioni minime possono risultare inferiori in quanto a potere d’acquisto.

Negli Stati membri in cui la protezione del salario minimo è fornita da contratti collettivi, i salari stabiliti nei contratti collettivi per le occupazioni a bassa retribuzione sono generalmente più elevati rispetto ai salari minimi legali di altri Paesi.

La quota di lavoratori non coperti dalla contrattazione collettiva è del 2% circa in Austria, del 10% in Finlandia e Svezia, del 20% in Danimarca e in Italia e circa del 55% a Cipro. Le donne, i lavoratori giovani e scarsamente qualificati, i genitori single e i lavoratori con contratti a tempo determinato o part-time hanno maggiori probabilità di percepire un salario minimo rispetto ad altri gruppi, sebbene anche con qui con considerevoli differenze tra i diversi Paesi.

“In generale -  secondo la Commissione europea -  i Paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere, rispetto agli altri Paesi, una percentuale inferiore di lavoratori a basso salario, salari minimi più elevati rispetto al salario mediano, minori disuguaglianze salariali e salari più elevati. Questo vale anche per gli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali dove la contrattazione collettiva incide in maniera significativa sull'adeguatezza del salario minimo. Influenzando l'evoluzione generale dei salari, la contrattazione collettiva garantisce salari superiori al livello minimo stabilito per legge, stimolando inoltre l'incremento della produttività” – conclude lo studio.

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