A 83 anni Marco Bellocchio non ha perso la voglia di far riflettere e stupire, stavolta con un film che ha riaperto antiche ferite tra la Comunità ebraica e la Chiesa cattolica: si tratta di «Rapito», applauditissimo al Festival di Cannes e ora nelle sale, che ripercorre in 135 avvincenti minuti una pagina dolorosa della nostra storia.
È il 1858, in pieno Risorgimento. Nello Stato Pontificio, a Bologna, Edgardo Mortara, di sette anni, viene sottratto ai suoi genitori di fede ebraica perché una domestica (cattolica) rivela ad un frate del sant’Uffizio di aver battezzato il bambino sei anni prima, credendolo in punto di morte. Secondo il diritto canonico il piccolo non può crescere in una famiglia non cristiana, avendo ricevuto il battesimo: quindi Edgardo, nonostante le disperate proteste della famiglia, viene tolto ai suoi genitori ed educato a Roma, presso la corte dell’allora Papa Pio IX.
Bellocchio ha sottolineato, in varie interviste, che il bambino fu rapito in nome di un principio ingiusto. Il film ripercorre la storia personale della famiglia Mortara, che s’intreccia con quella politica. La famiglia lotterà anni per riavere il proprio figlio, che intanto cresce in un’altra religione e, infine, ormai adulto, deciderà di diventare sacerdote, di fatto ripudiando la sua prima educazione.
In questa storia dolorosa stupisce la ferrea volontà del Papa che neppure di fronte all’indignazione sollevata da più parti, dall’America alla Francia di Napoleone III, recede di un passo.  Il suo Non possumus è irremovibile: in questo caso così come lo sarà nei rapporti con il neonato Regno d’Italia. 
In una lettera al quotidiano La Repubblica, Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, ha spiegato che tali rapimenti non erano inconsueti, ma che «esprimevano una linea oppressiva coerente e sistematica», in quanto gli ebrei erano tollerati nello Stato Pontificio, ma di fatto oppressi e umiliati. Ha poi aggiunto che nella Chiesa si respirava «uno spirito sprezzante antigiudaico, unito alla convinzione di fare un dono alle tenere creature, per salvare le loro anime e liberarle dalla “superstizione giudaica”».
Il film ben racconta tutto ciò grazie ad una magnifica prova attoriale corale, in cui, fra i tanti bravissimi, si segnalano Paolo Pierobon, che interpreta Pio IX, e Barbara Ronchi, che è la dolente madre del ragazzo. Splendida anche la fotografia di Francesco Di Giacomo, mentre la bella colonna sonora di Fabio Massimo Capogrosso evidenzia i tanti momenti drammatici della vicenda.
Il rabbino capo Di Segni continua la sua lettera dicendosi stupito per la difesa della linea adottata da Pio IX che, a detta sua, si sarebbe levata da più parti del mondo cattolico dopo l’uscita del film. E, pur riconoscendo che oggi i rapporti interreligiosi sono molto cambiati, se ne dice preoccupato.
Ma L’Osservatore Romano ha voluto chiudere la polemica affermando che, dopo il Concilio Vaticano II, vicende del genere non potrebbero più ripetersi.
La storia del piccolo Edgardo aveva già affascinato il regista Steven Spielberg. Dopo la sua rinuncia al film, Marco Bellocchio ha portato avanti il progetto, confrontandosi ancora una volta col potere e scrivendo l’ennesimo atto d’accusa contro la violenza.

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