Scoprire oggi gli inediti esordi letterari di Marcel Proust è un piacere indiscreto e vagamente colpevole, com’erano (per la morale del tempo) quelli del barone di Charlus nella Ricerca del tempo perduto. Nelle novelle scartate dai lavori giovanili, seguendo le varianti del testo tra cui oscillavano le sue scelte, sembra quasi di sbirciare il Genio dal buco della serratura, mentre lavora per sgrossare un materiale ancora acerbo: il proprio talento. Eppure è un godimento a cui non si può sottrarre chiunque ami una delle più grandi personalità della letteratura di ogni tempo.

In occasione dei 150 anni dalla nascita di Proust, questa opportunità licenziosa viene ora offerta ai lettori italiani da Garzanti: “Il corrispondente misterioso” (168 pagine, traduzione di Margherita Botto, con annotazioni e un breve saggio di Luc Fraisse) rende accessibile anche a chi non pratica il francese una raccolta di racconti, dialoghi, fiabe e altri esperimenti, talora incompiuti, che nel 1896 rimasero fuori da “I piaceri e i giorni”, l’opera del debutto proustiano. Testi eterogenei, in cui si scorge uno scrittore in formazione, sicuro parente del futuro Narratore della Recherche, di cui anticipa la sensibilità raffinatissima e alcune riflessioni. Ma un parente alla lontana, che confessa le sue influenze artistiche e filosofiche (da Racine a Schopenhauer, da Fichte a Hugo e Stendhal: ma anche Edgar Allan Poe) senza riuscire ancora a emanciparsene con la creazione di uno stile tutto suo.

Marcel Proust (1871-1922) - Archivio US
Marcel Proust (1871-1922) - Archivio US
Marcel Proust (1871-1922) - Archivio US

Ci riuscirà, eccome: con “Alla ricerca del tempo perduto”, il cui primo volume non vedrà le stampe prima del 1913, il secondo addirittura nel 1919, quando Proust aveva già 48 anni e non gliene sarebbero rimasti da vivere più di tre. La maturazione lenta e il successo in parte postumo avevano fatto credere alla sbocciatura tardiva di un autore indolente e un po’ perso nei salotti parigini, come racconta di sé il Narratore della Recherche: ma la realtà era diversa. I biografi hanno ricostruito il suo  percorso graduale, con difficoltà e inciampi ma anche un lavoro costante sulla propria arte; e gli scritti contenuti nel “Corrispondente misterioso”, tutti inediti tranne uno, lo confermano.

Anticipazioni

Chi ama il capolavoro proustiano ritroverà, in questa selezione, gli embrioni di alcuni episodi rilevanti della Recherche. A partire proprio dalla lettera spedita dal corrispondente misterioso nel racconto che presta il titolo al volume. E poi il saluto del brigadiere nel “Ricordo di un capitano” (che prefigura le atmosfere militari di Doncières e la strana freddezza di Saint Loup); o il rematore sdraiato nella barca trasportata dal fiume, quasi identico nella novella “Jacques Lefelde” e molti anni dopo in “Dalla parte di Swann”. E soprattutto una Gilberte ante litteram, nella fiaba struggente “Il dono delle fate”: laddove il dono che la fata illustra a un neonato è la sensibilità incompresa. “Ti feriranno coloro che non amerai, ancor di più coloro che amerai”, dice l’incolpevole dispensatrice di sofferenze, per poi aggiungere: “Piangerai sempre nei giorni di pioggia perché non ti porteranno agli Champs-Elysées, dove giocherai con una bambina che amerai e che ti picchierà”.

Si intuisce in questi passaggi il lentissimo lavorìo di Proust su immagini, emozioni e accadimenti serbati nella memoria (più o meno volontaria) fin dall’infanzia, e arrivati infine a esprimere tutte le loro potenzialità evocative nel grande romanzo. Ma ci sono altri due regali che “Il corrispondente misterioso” fa ai devoti dell’illustre scrittore. Il primo sono le riproduzioni fotografiche di alcuni fogli manoscritti, tratti dall’eccezionale archivio proustiano creato da Bernard de Fallois. Gli appassionati amano questo genere di memorabilia, e qui ce ne sono di eccezionali: come la cartina dove Proust disegnò la geografia semi immaginaria dei dintorni di Balbec, o la selezione delle “grida di Parigi” (dal verduraio allo strillone) documentate dal portiere del palazzo.

Marcel Proust nel 1900 (foto da Wikipedia)
Marcel Proust nel 1900 (foto da Wikipedia)
Marcel Proust nel 1900 (foto da Wikipedia)

Il secondo regalo è l’apparato di note curato da Luc Fraisse (docente dell’Università di Strasburgo) che guida il lettore tra le molteplici varianti disseminate nei manoscritti, restituendoci così i dubbi e le soluzioni sperimentali del giovane Marcel, i tentativi falliti, qualche scelta infelice. È proprio questo che trasmette la sensazione, di cui s’è detto, di peccare di voyeurismo quando ci si sofferma su bozze che lo stesso Proust aveva scelto di tenere nel cassetto, senza mai parlarne neppure nella sua corrispondenza. Ma forse, dopo più di un secolo, è una colpa prescritta o comunque scusabile.

La vita e le opere

Fraisse, per altro, sottolinea un’altra ragione – oltre all’insoddisfazione per la qualità dei testi – che può aver portato l’autore a non pubblicare quelle novelle. È la trattazione molto esplicita e ricorrente dell’omosessualità, sia maschile che femminile. Se questo materiale fosse confluito nella raccolta “I piaceri e i giorni”, nota il curatore, “la rappresentazione dell’omosessualità avrebbe costituito il tema principale dell’opera. Proust non ha voluto che così fosse”. Probabilmente “per le rivelazioni che avrebbe fornito su di lui”, ma anche “perché alcuni di quei testi avevano bisogno di essere scritti per sé più che per gli altri”.

Oggi non c’è più niente da rivelare a proposito di Proust su questo tema, molto presente anche nella Recherche ma pur sempre con una quota di dissimulazione, testimoniata proprio da uno di quei fogli scritti a mano e riprodotti nel “Corrispondente misterioso”. Si tratta di una carta intestata del Grand Hotel Cabourg, dove ogni fedele proustiano desidera soggiornare (sogno costoso ma non irrealizzabile: si trova anche su Booking, a partire da 330 euro a notte), perché è quello che nel romanzo è l’albergo di Balbec, teatro delle vicende di “All’ombra delle fanciulle in fiore”. Quello scritto conferma che le fanciulle che ammaliano il Narratore erano in realtà dei giovani golfisti di Cabourg. L’ode scritta sotto il logo del Grand Hotel li descrive come un’entità indivisa, che emanava un fascino collettivo in cui Proust faticava a distinguere l’uno dall’altro: esattamente come capiterà al Narratore con la “piccola brigata” di Balbec, al cui interno solo col tempo emergeranno le individualità di Albertine, Andrée, Gisèle e le altre.

Per chi legge quelle pagine immortali la reale identità delle “fanciulle” non dovrebbe avere alcuna importanza, visto che proprio Proust polemizzò in un articolo “Contro Sainte-Beuve”, il critico letterario che sosteneva l’opportunità di conoscere la vita di un autore per poterne meglio valutare l’opera. Eppure la stessa impostazione della Recherche, col protagonista che parla in prima persona (“Je”), induce a chiedersi fin dove arrivi l’autobiografia. Sulla vita di Proust, in ogni caso, ormai restano davvero pochi misteri. Anche per questo, poter leggere dei racconti inediti a quasi 100 anni dalla sua morte (avvenuta il 18 novembre 1922) è un regalo inatteso; un piacere indiscreto, certo, ma al quale non si può resistere.  

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