«Non deve esserci alcun conflitto» tra poteri dello Stato, quindi tra magistratura e Governo. La «morale» non ha nulla a che vedere con «il diritto». La separazione delle carriere tra Pm e Giudici è «il preludio all’introduzione della dipendenza del Pm dall’esecutivo». L’eventuale abolizione dell’abuso d’ufficio è «un arretramento sul fronte della legalità». L’uso delle intercettazioni va «contemperato con il diritto alla privacy».

Clima bollente

Polemiche tra magistratura e politica, modifiche normative introdotte e ipotizzate, gli organi di rappresentanza delle toghe in un momento difficile. Luigi Patronaggio, 64 anni, è procuratore generale a Cagliari dopo aver operato a lungo come magistrato antimafia, essere stato procuratore di Agrigento e aver coordinato inchieste di rilievo nazionale quali quelle contro il leader leghista Matteo Salvini, all’epoca ministro degli Interni (è accusato di sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio per aver impedito lo sbarco dei migranti a bordo di due navi), e contro esponenti di spicco di Cosa Nostra: Totò Riina (il magistrato ora nell’Isola era pm di turno la mattina dell’arresto del latitante, il 15 gennaio 1993), Leoluca Bagarella, Giuseppe e Filippo Graviano e Gaspare Spatuzza.

Salvatore Riina, il Capo dei capi di Cosa Nostra (Archivio)
Salvatore Riina, il Capo dei capi di Cosa Nostra (Archivio)
Salvatore Riina, il Capo dei capi di Cosa Nostra (Archivio)

Oggi, dal suo ufficio al secondo piano del Palazzo di giustizia del capoluogo sardo, osserva gli scontri sempre più accesi tra Associazione nazionale magistrati e centrodestra ed esprime il proprio parere sulla situazione attuale della giustizia in Italia.

La sede del Consiglio superiore della magistratura (Archivio)
La sede del Consiglio superiore della magistratura (Archivio)
La sede del Consiglio superiore della magistratura (Archivio)

Muro contro muro

Procuratore, da mesi è in corso un duro scontro tra Governo e Anm dopo le inchieste aperte a carico di una ministra (Daniela Santanché) e un deputato (Andrea Delmastro). Due poteri dello Stato in conflitto tra loro: perché?

«Ritengo che non ci sia, e aggiungo che non ci deve essere, alcun conflitto fra i poteri dello Stato. Occorre che ognuno dei due poteri riconosca all’altro gli ambiti e le competenze che la legge attribuisce loro. Alla politica, con ciò intendendo il Governo e la maggioranza parlamentare, va riconosciuta piena e insindacabile libertà di scelta all’interno dei confini tracciati dal disegno costituzionale. Alla magistratura non può essere negato il controllo di legittimità nei limiti e nelle forme che la legge le attribuisce. Gli studiosi inglesi dell’800 affermavano che un sano governo dello Stato doveva reggersi su un sistema di pesi e contrappesi, i “checks and balances”: i tre poteri dello Stato, secondo quegli illuminati giuristi, dovevano bilanciarsi reciprocamente senza sovrapporsi».

Però la politica sostiene di aver subito un’aggressione dalla magistratura: è così?

«Non vedo alcuna aggressione da parte della magistratura. Vedo, viceversa, una certa insofferenza verso alcuni provvedimenti giudiziari che incidono sui diritti fondamentali della persona che possono essere anche aspramente contestati e impugnati, come consentito dall’Ordinamento, ma che non autorizzano aggressioni mediatiche ai loro estensori».

Governo e maggioranza di centrodestra tuttavia contestano ai magistrati la volontà di interpretare il ruolo di una sorta di polizia morale.

«La morale non ha nulla a che vedere con il diritto positivo e le due sfere devono rimanere separate. La magistratura, peraltro, dopo il caso Palamara non può certo ergersi a paladina della morale pubblica. D’altra parte, è vero che l’incapacità della classe politica di darsi dei codici etici interni ha permesso a qualche magistrato di estendere il doveroso controllo di legittimità fino al confine degli atti politici che pacificamente non sono sindacabili. I magistrati, come tutti i cittadini, hanno le loro idee politiche e questo, se confinato all’interno della elasticità consentita dall’attività interpretativa della norma, è legittimo, non ha nulla di scandaloso e negarlo è operazione ipocrita e intellettualmente scorretta. Illegittimo è strumentalizzare la funzione ed esternare pubblicamente le proprie idee politiche. Secondo l’insegnamento del compianto Giudice Livatino: “il magistrato oltre che essere deve anche apparire indipendente”».

Un'aula del Tribunale (archivio)
Un'aula del Tribunale (archivio)
Un'aula del Tribunale (archivio)

L’Anm sostiene, dopo il caso della giudice Iolanda Apostolico che a Catania di recente ha scarcerato migranti fermati dalle forze dell’ordine, che con gli «attacchi» e le «reazioni scomposte» di «esponenti del governo» lo scopo «perseguito è evidente: intimorire ogni giudice che dovesse assumere un’interpretazione non gradita o allineata a un certo indirizzo politico». Concorda?

«Concordo solo in parte, nel senso che le reazioni scomposte sono arrivate da ambienti e giornali di parte e non a livello istituzionale la cui posizione è stata correttamente rappresentata dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e dall’Avvocatura dello Stato con il ricorso in Cassazione. Purtroppo questo Paese sembra essere sempre in campagna elettorale e talvolta qualcuno perde il senso delle istituzioni».

Il Governo pensa anche che la magistratura sia entrata a gamba tesa in vista delle elezioni europee del 2024. La magistratura fa politica? I magistrati cercano di condizionare il Parlamento per tutelare i propri interessi?

«Per avere una risposta basta guardare l’attuale composizione del Parlamento, dove nessun magistrato in servizio si è candidato e dove sono presenti solo due ex magistrati a fronte, solo per fare un esempio, di ben 73 avvocati e 42 imprenditori. Che poi l’Anm propugni la sua visione della politica giudiziaria è un fatto assolutamente fisiologico nelle dinamiche di qualsiasi associazione che rappresenti una categoria professionale».

Luciano Violante, 81 anni (Archivio)
Luciano Violante, 81 anni (Archivio)
Luciano Violante, 81 anni (Archivio)

La diatriba politica-magistratura è vecchia ormai trent’anni, dai tempi di Tangentopoli. Secondo l’ex magistrato e deputato Luciano Violante la magistratura invade spazi che non le competono e anziché limitarsi a svolgere il proprio ruolo «si erge spesso a difensore dell’etica». Siamo arrivati a questo?

«Lei cita un giurista che stimo oltremodo ma di cui ricordo ben altre “uscite” e prese di posizione di qualche anno addietro, anche nella sua veste di Presidente della Commissione antimafia. Prima fra tutte la sua proposta di legge costituzionale, poi accolta, per l’abolizione dell’immunità parlamentare che ha modificato nel tempo i rapporti di forza fra magistratura e politica, certamente a favore della prima. Verosimilmente qualche “sbavatura istituzionale” dei protagonisti di Tangentopoli lo ha indotto a rivedere quel periodo storico. Da magistrato che ha vissuto quella stagione tuttavia non posso non ricordare il livello di corruzione esistente in quasi tutti i partiti del così detto arco costituzionale. Io stesso ho raccolto confessioni di imprenditori che raccontavano di valigette con milioni in contanti lasciati come prezzo della corruzione in varie segreterie politiche. E ancora, ricordo come numerosi grandi appalti di opere pubbliche siano stati aggiudicati secondo logiche spartitorie. La Seconda Repubblica è nata sotto altra luce ma temo, senza scadere nel moralismo, che ogni tanto quella nuova luce si attenui o addirittura si spenga. Occorre allora, con l’impegno sinergico di tutte le Istituzioni, abbandonare quel posto di “maglia nera” che le statistiche sulla corruzione in Europa ci assegnano. Noi siamo infatti per percentuale di corruzione percepita fra gli ultimi stati dell’Unione Europea e al 41esimo posto su 180 paesi nel mondo. La fonte è l’Anac 2023».

La riforma della giustizia, l’ennesima proposta in questi anni, prevede tra i vari interventi la separazione delle carriere, l’abolizione dell’abuso d’ufficio, una stretta sulle intercettazioni e sulla pubblicazione anche di atti non più segreti. Partiamo dal primo punto, la separazione delle carriere.

«La separazione delle carriere, peraltro di fatto nella sostanza già esistente, è nulla di più che un tributo ideologico-formale a un sistema accusatorio puro. Non ci sarebbe nulla di cui allarmarsi se non fosse il preludio alla introduzione della dipendenza del Pm dall’esecutivo e alla introduzione della discrezionalità dell’azione penale. È un rischio che allo stato il nostro Paese non può correre perché è troppo forte la tentazione di taluni poteri di condizionare la magistratura nel suo insieme. Senza forti garanzie costituzionali per il Pm, come quelle che assistono i Giudici quali indipendenza, autonomia e inamovibilità, il sistema subirebbe degli inammissibili condizionamenti di parte che mortificherebbero la democrazia e l’uguaglianza in senso sostanziale dei cittadini di fronte alla Legge. Mi sia permesso poi osservare che senza un Pm libero non vi può essere un Giudice libero. Il Giudice infatti conosce come materiale di giudizio solo ciò che il Pm gli offre, pur nel naturale contraddittorio fra le parti, e il compito del giudicante non è certo quello della ricerca della prova».

L’abolizione dell’abuso d’ufficio?

«A mio avviso l’abolizione del reato di abuso di ufficio, le cui condanne sono numericamente molto basse, è un arretramento sul fronte della legalità come peraltro indicato dal “Rapporto sullo Stato di Diritto” presentato in luglio alla Commissione Europea. Infatti, a fronte della insufficienza dei controlli amministrativi e delle lentezze, oltre che dei costi, della giustizia amministrativa, il cittadino si vedrebbe spogliato di una importante tutela dagli abusi dei pubblici amministratori. Si pensi al candidato a un concorso pubblico illegittimamente “scavalcato” da un concorrente raccomandato da parte del “potente” di turno. O all’imprenditore che perde una gara di appalto perché il politico di turno ha favorito un suo cliente di partito. Infine, si pensi a tutte quelle nomine nei posti apicali della Pubblica amministrazione che talvolta vengono attribuiti con criteri di pura spartizione politica. Argomento, non ultimo, contro l’abolizione del reato di abuso di ufficio è quello sostenuto dalla maggior parte dei Procuratori distrettuali antimafia uditi in Parlamento e cioè che le indagini sull’abuso di ufficio sono un momento investigativo importante per contrastare le infiltrazioni mafiose all’interno della Pubblica amministrazione».

Palazzo Chigi, sede del Governo (Archivio)
Palazzo Chigi, sede del Governo (Archivio)
Palazzo Chigi, sede del Governo (Archivio)

La riduzione delle intercettazioni? Sono inutili? Sono troppe? Sono usate male? Sono da limitare?

«La materia era stata di recente riformata dalla Legge Orlando con l’introduzione di importanti norme a tutela della privacy. Si tratta di uno strumento indispensabile per la lotta alla mafia e al terrorismo come ci hanno insegnato le pregresse esperienze giudiziarie. Non meno efficace è il loro utilizzo nel settore dei reati contro la Pubblica amministrazione. Non mi sembra che dalla recente riforma siano emerse condotte censurabili della Polizia giudiziaria o dei magistrati. Il punto critico delle intercettazioni di comunicazioni, che oggi hanno oggettivamente raggiunto da un punto di vista tecnico importanti capacità invasive della sfera più intima delle persone, è il contemperamento delle esigenze investigative con il diritto alla privacy. Restrizioni alla loro divulgazione, specie in relazione alla tutela di persone estranee alle indagini, così come un uso più attento dei captatori informatici, cioè i così detti trojan, sono riforme che possono essere messe a punto senza tuttavia demonizzare lo strumento investigativo, che resta fondamentale per molte tipologie di indagini». 

Cosa pensa della stretta sulla pubblicazione degli atti pur non coperti da segreto? C’è davvero un problema di tutela della privacy? Vietare la pubblicazione di atti di indagine sino alla chiusura dell’inchiesta è giusto? E il diritto di cronaca? Non è mettere il silenzio su vicende di interesse pubblico che magari riguardano i colletti bianchi?

«La stampa, come icasticamente è stato detto, resta il cane da guardia della democrazia. I processi, tuttavia, si devono celebrare nelle aule di giustizia e non sui giornali. Non è giusto inoltre trarre delle conclusioni di colpevolezza da una indagine preliminare o da una ordinanza di custodia cautelare. Appare corretto quindi che la comunicazione sia gestita dai Capi degli Uffici giudiziari con moderazione e toni adeguati, avendo ben presente il principio di innocenza dell’indagato fino alla sentenza definitiva. Trovo tuttavia eccessivo sanzionare penalmente i giornalisti, e addossare sempre e comunque agli stessi ogni responsabilità per le fughe di notizie, mentre si potrebbero stipulare dei protocolli con le organizzazioni di rappresentanza della stampa, sia in sede nazionale che distrettuale, per una informazione libera e corretta. Resta purtroppo terreno di vere barbarie la circolazione di notizie sul web a opera di soggetti non qualificati professionalmente, privi di ogni deontologia e spesso portati ad enfatizzare oltre modo la notizia pur di fare audience».

Un gip alcune settimane fa, nonostante la richiesta di archiviazione della Procura, ha imposto l’imputazione coatta per Delmastro riguardo alle sue rivelazioni su quanto si erano detti in carcere Alfredo Cospito, l’anarchico al 41 bis, e alcuni deputati del Pd andati a verificarne le condizioni. Ne sono nate feroci polemiche ma di norma le critiche nascono perché opinione comune è che i giudici si appiattiscano sempre sul volere dei pm. E allora? È giusto abolire l’imputazione coatta? Non è dare troppo spazio a i pm, che già ne hanno parecchio?

«È uno strumento presente nel codice Vassalli fin dal 1988 e solo oggi, con riguardo a dei casi ritenuti scomodi, ci si accorge della sua “pericolosa” esistenza! La ratio di tale norma consiste nel garantire l’obbligatorietà dell’azione penale e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Sotto altro aspetto è una importante forma di controllo giurisdizionale sull’attività dei Pm. Ora, mi sembra che avversare una norma, solo perché talvolta l’applicazione della stessa risulti scomoda a una parte processuale piuttosto che a un’altra, sia operazione non corretta dal punto di vista dell’ermeneutica giuridica».

Carlo Nordio, ministro della Giustizia (Archivio)
Carlo Nordio, ministro della Giustizia (Archivio)
Carlo Nordio, ministro della Giustizia (Archivio)

La richiesta di far valutare le richieste di arresto da tre giudici anziché uno è realizzabile? Da almeno due decenni si lamenta la scarsità di personale: a Cagliari si può fare?

«È fin troppo ovvio che il giudizio collegiale sia preferibile al giudizio monocratico, ma un sistema di tal fatta non è in grado, con le attuali forze in campo, di assolvere i compiti a esso demandati. Occorre rendersi conto che ogni pur pregevole riforma in senso garantista del processo penale ha un costo non sempre sopportabile sia in termini di risorse umane e materiali che in termini di durata del procedimento».

Qualcuno pensa che l’Anm non sia rappresentativa della categoria, tanto che un anno fa lo sciopero è stato definito un insuccesso, e che l’unico interlocutore del governo sia il Csm.

«È indubbio che l’Anm sia in crisi di rappresentatività, sia per l’emergere di nuove autonome forme di aggregazione dei magistrati, sia perché si è rotta l’unità interna della stessa Associazione. È accaduto inoltre che una corrente dell’Anm ha assunto talvolta posizioni ritenute filogovernative lette dai più come una abdicazione alla indipendenza e all’autonomia della magistratura. Il vero è che vi è una disaffezione verso l’associazionismo giudiziario, così come vi è una disaffezione verso i partiti politici tradizionali. I motivi sono tanti e fra questi mi permetto di evidenziare quello del “carrierismo”, cioè quel fenomeno che permette dopo una militanza associativa, o di partito, di raggiungere posizioni di prestigio nelle istituzioni. Se la pratica associativa viene svolta con spirito di servizio e per una maggiore e costruttiva dialettica giuridica, l’associazionismo diventa una preziosa risorsa culturale e politica, viceversa è destinato a una irreversibile crisi di rappresentatività. Il Csm, per le modalità della sua composizione interna stabilite dalla Costituzione, è un organo di rilevanza costituzionale ed è l’interlocutore istituzionale del Governo e del Parlamento. Anche l’Anm, tuttavia, pur con i suoi limiti, deve concorrere al dibattito politico in materia di giustizia e i suoi rappresentanti devono trovare il giusto ascolto nella stesura delle riforme sulla giustizia».  

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